Orphan Black – Le serie estive stanno arrivando di Marco Villa
Tra entusiasmo e sentore di cagatone
Si avvicina la bella stagione, che vuole dire la stagione in cui fa caldo e c’è luce fino a tardi e in cui si fa una gran fatica a vedere le serie, ma anche la stagione dei cagatoni. Lo ripeto per la millesima volta: cagatone non è termine dispregiativo, ma definizione serissima di serie – tendenzialmente estive – che fanno del disimpegno e del ripetuto e continuo maddai di stupore la propria cifra stilistica. Ecco, il fatto che ci stiamo avvicinando a questo periodo dell’anno non è dato solo dall’ora legale, ma dall’apparizione di una serie come Orphan Black.
La storia: Sarah è un specie di emarginata sociale. Il suo uomo spaccia, ha una figlia che non vede da un anno e una vita davvero complicata. Una sera, a New York, una donna si suicida davanti a lei in metropolitana. Sorpresa: la donna suicida è identica a Sarah, ma con un bel po’ di soldi in più. Sarah decide di darsi morta, facendo credere di essere lei la suicida, e di sostituirsi alla sua sosia. Ovviamente le cose sono più complicate del previsto e la donna si sarà ben suicidata per un motivo.
Sostituzione di identità, sosia, possibilità di gemelle che non si sono mai incontrate. Già partiamo forte sull’implausibilità e il cagatone alert comincia a fare bip. Aggiungeteci che, verso il finale del pilot, si scopre che esiste un’altra sosia e che probabilmente c’è qualcosa di genetico che lega tutte le tizie in questione e che le rende pericolose/ricercate da qualche cattivone. Mica male, eh?
Eh sì, mica male, perché Orphan Black, per quanto semplice ed elementare, è piuttosto interessante fin da subito. Ritmato e recitato degnamente da un’attrice che ha tutta l’aria di essere a tanto così dalla cagnitudine, ma che riesce a mantenere quella minima distanza, la serie in onda su BBC America ha il vantaggio di partire secco con un suicidio piuttosto violento, fatto che manda il resto in (tragica) discesa. Aiuta il comprimario amico della protagonista, supergay che, per capirci, ricorda un po’ il Ranocchia di Romanzo Criminale.
L’avvitamento senza controllo della protagonista sulle proprie sfighe e su quelle della tizia cui ruba l’identità è altrettanto divertente e appassionante: funziona infatti il disvelamento progressivo degli elementi che caratterizzano la vita di Elizabeth Childs (questo il nome della tipa ammazzata). Il meccanismo è semplice: lo spettatore non sa assolutamente nulla, così come la protagonista e chi le sta vicino. Si procede a tentoni, tutti insieme, e questo crea inevitabilmente vicinanza tra chi guarda e chi agisce. Vero, la tensione per funzionare deve dare qualche informazione in più allo spettatore e qualcuna in meno al personaggio, ma il gigantesco punto di domanda che, in questo caso, aleggia sulle nostre teste funziona comunque e non fa rimpiangere nessun’altra sensazione.
Tutto bene? Insomma, fino a un certo punto. E il punto è quello in cui compare la terza sosia, che fa intuire la presenza di un qualche disegno malvagio che le unisce e soprattutto l’esistenza di qualcuno che voglia farle fuori. Ecco, la comparsa della terza sosia, che per giunta parla con un impresentabile accento tedesco, è il momento in cui tutto sembra pronto per fare il salto dello squalo. Solo le prossime puntate ci potranno dire se effettivamente Orphan Black ha spiccato il volo sopra il dentuto pescione.
Perché seguirlo: perché è leggero e ritmato. Le cose succedono e ti tirano dentro fin da subito
Perché mollarlo: perché una serie che rischia di saltare lo squalo dopo quaranta minuti è davvero pericolosa.