The Walking Dead – Il duello finale sulla terza stagione di La Redazione di Serial Minds
Meglio la terza o la seconda?
Viva la stagione tre (di Valentina Morganti)
And shall come forth; they that have done good, unto the resurrection of life; and they that have done evil, unto the resurrection of damnation.
Anche la terza stagione di The Walking Dead è andata. E per la prima volta mi ritrovo a dire: peccato. Fino alla scorsa stagione ho un po’ patito questa serie, che seguivo sia perché beh fatta bene è fatta bene, sia per stare al passo con le serie fighe e sia perché ormai volevo vedere in che zombie-universo ci avrebbero portato. E anche perché vorrei capire se è solo l’area intorno ad Atlanta infetta o se è tutto il mondo, se non potrebbero prendere un elicottero e sondare un po’ in giro.
Ma no…anche per questa stagione si rimane ancorati alle desolate campagne della Georgia o giù di lì. Però questa stagione apre le porte ad altre realtà amplificando il mondo zombizzato a noi noto, che nell’ottica di mondo ristretto nella quale è ambientata la serie, aiuta a muovere le acque, e un po’ di tsunami secondo me serviva, dopo due stagioni lente e pallose passate e a seguire i rantoli degli zombi e le pallosissime avventure dei Nostri prodi.
Non parlerò della seconda stagione perchè qua interverrà il Castelli. Io sono qua in veste di difensora e assoluta sostenitrice di questa stagione appena conclusasi. Fino alla scorsa ho patito tutto, partendo dalla lentezza eccessiva dei movimenti, alla lentezza narrativa, alla lentezza nei combattimenti, le continue querelle verbali, gli incessanti processi a ogni decisione, i personaggi irritanti. Una delle cose che più non capivo era come persone private della propria quotidianità e provate dalla nuova quotidianità fatta di fughe da zombie e lotte intestine, sproloquiassero così a lungo su piccole sottigliezze. Perché in un mondo dove la maggioranza è zombizzata, i pochi umani non erano solidali tra loro ma anzi si facevano la guerra. Era quella collocazione in un limbo nel quale il dubbio amletico era tra il cosa era etico fare e cosa era necessario fare per sopravvivere, che mi distruggeva. Le pippe mentali di Lori, gli scazzi tra Rick e Shane, il fondamentalismo di Hershel, il piccolo Carl che voleva sbocciare cowboy, ma no-povero-è-picccolo-e-innocente.
Questo è quello che non è la terza stagione. La terza stagione è un misto di cinismo, cattiveria, egoismo, disillusione, autopreservazione. Woodbury è il perfetto specchio di come sarebbe potuto essere. Un mondo dove umani coabitano e vivono in pace e armonia. Un nuovo domani per il mondo. Ecco peccato che il suo ideatore è un perverso dittatore, senza vero interesse per creare un domani per l’umanità, e ritorna l’egoismo. Il suo obiettivo era trovare una cura per la figlia, e quando la figlia trova la pace terrena lui si anima di cattiveria diabolica. Nulla lo può più controllare. E quindi esplode il Governatore e anche Woodbury. E tutto torna come prima. Umani che si fanno la lotta tra loro e zombie che vanno a banchetto.
L’unica cosa che non è più come prima sono i Nostri. E lo capiamo dai loro sguardi sopraffatti. Chiusi in una prigione circondata da zombie. La laboriosità nell’uscire è quasi sinonimo della loro necessità di essere chiusi e salvi in loro stessi per andare avanti. La scena del ragazzo solitario con lo zaino incrociato in strada è l’espressione di quello che sono diventati. Disillusi lo sono sempre stati, ma io in questa stagione riuscivo proprio a sentire la loro stanchezza, il loro affanno, la loro perdita di speranza, il loro essere diventati zombie nell’animo.
Poi c’è lo shift: nel momento in cui il Dittatore si mostra per quello che è, Rick torna in sè, anzi forse diventa quello che non è mai stato. Riacquista raziocinio e umanità e capisce che la chiusura sistematica non li ha portati lontani. Certo,sono sopravvissuti, ma a che prezzo? Dieci scellerati rinchiusi in una prigione, costantemente sull’orlo di una crisi di nervi. Con il piccolo e innocente Carl che ormai ammazza persone come se fosse al luna park con le paperelle. E vorrei parlare per ore di Carl e di quanto sia il Vero Personaggio della serie, ma già ho il coltello del Castelli alla gola…
Quindi chiudo veloce dicendo che trovo che il season finale sia la perfetta conclusione di una serie eccellente. La disumanizzazione che ha pervaso la stagione ha trovato la sua via di fuga, il respiro profondo dopo tre stagioni cupe. Si chiude con la quiete di raggi di sole che entrano e un bus carico di gente stanca, disperata e confusa, che trova rifugio e speranza nel posto meno accogliente della Georgia. I Nostri per una volta aprono le braccia e accolgono l’estraneo. Il Governatore è ancora in giro, e questo ci fa ben sperare per la season 4. Abbiamo perso dei pilastri ma ne abbiamo guadagnati e riguadagnati altri. Non ci sarà più Lori con i suoi piagnistei, grande regalo di questa stagione, e molto probabilmente non apparirà nemmeno più in camicia scozzese che si gratta il pancione. Direi che meglio di così non poteva andare…Hands up for season 3, you kill or you die. Or you die and you kill.
Meglio la stagione due (di Diego Castelli)
Oh e meno male che non doveva parlare della seconda stagione! E invece un intero paragrafo a sputare veleno, maledetta. No dai, io alla Vale ci voglio un sacco bene, ma devo caricare un po’ i toni sennò che duello è? Perché lo scontro potrebbe essere subito depotenziato dal fatto che anch’io ho apprezzato molto questa stagione. Prima di tutto c’è uno sviluppo chiaro ed efficace della psicologia dei personaggi principali (due su tutti: Rick che capisce di non poter fare il cavernicolo incazzato e si apre a una speranza per il futuro, mentre Carl che fa quasi il percorso contrario, rivelando in quelle poche battute del finale di essere il vero figlio forse-non-solo-metaforico di Shane). Ma poi ci sono anche un buon numero di scene e scenette d’antologia: la morte di Lori (evvai), quella di Milton, gli zombie che bruciano ma non muoiono, Merle non-morto, la dipartita di Andrea, la già citata scena del tizio con lo zaino. Tutti dettagli grandi e piccoli che ti fanno dire “sì, sto vedendo una gran bella serie”.
Eppure, e qui arriviamo al duello, io faccio parte di quella risicata ma combattiva percentuale di pubblico che ha preferito la seconda stagione. Perché è vero che il budget ridotto aveva comportato più staticità e meno zombie (specie nella prima metà), ma proprio questa “povertà” aveva obbligato a uno svisceramento dei personaggi che la stagione tre se lo sogna. Lo scontro tra Rick e Shane, scontro fratricida, ribollente di passioni e viscere, era molto più forte della lotta spesso assai distante col governatore, un personaggio che, senza fare alcun paragone col fumetto (quella parte manco l’ho letta), ha convinto solo fino a un certo punto. Colpa anche dell’attore, a mio giudizio, perché David Morissey, non so, non riesce a farmi “paura”, mentre la follia primitiva di Shane veniva da un fratello, da uno zio, insomma dalla nostra stessa famiglia.
Anche i momenti cardine della stagione tre perdono nel confronto: il ritrovamento di Sophia nel granaio, a metà della stagione due, è indimenticabile, un momento di passaggio fondamentale, la morte di qualunque speranza (cioè quello che vogliamo vedere da una serie con un’apocalisse zombie). E anche il finale mi era piaciuto di più, cupo e terrificante, con la presentazione di Michonne e un Rick che sembrava pronto al suicidio di gruppo. Il finale più felice della stagione tre, pur giustificato e legittimo, è invece macchiato da alcune leggerezze. Perché sì, l’anno scorso abbiamo battagliato a lungo, ma che vi piaccia o meno la seconda stagione non aveva un capello fuori posto. Quest’anno invece, le allucinazioni di Rick non si potevano vedere. Ogni volta che vedeva Lori nei campi di frumento mi veniva da prenderlo a sberle. Troppo veloce anche la conversione di Merle, passato dalla parte dei nostri nel giro di un pomeriggio, come se ci fosse urgenza di zombizzarlo e farlo fuori. E poi la fuga del Governatore, gestita assai male: viene respinto (ok), ammazza molti dei suoi (molto ok), e poi sparisce, senza nemmeno un’inquadratura che dica “sta sparendo”. Quando Rick arriva a Woodbury con Michonne e Daryl viene spontaneo chiedersi “ma il governatore dov’è finito?”. E’ un errore abbastanza banale di grammatica filmica, una sospensione che lo spettatore non percepisce come tale, e che quindi si trasforma in “mancanza”.
Per questo la seconda stagione era migliore: più lenta, certo, ma anche più stratificata e con botte di potenza maggiore (vogliamo mettere l’abbandono della fattoria con la battaglia alla prigione? Dai, la prima vince a manetta).
Detto questo, avercene di The Walking Dead. Forza Daryl sei tutti noi.
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