19 Marzo 2013 2 commenti

Banshee – Ecco perché abbiamo amato la prima stagione di Diego Castelli

Violenza + tette + storia = applausi

Copertina, On Air

Per parlare correttamente della prima stagione di Banshee è necessario fare un ragionamento quasi antropologico.
La domanda di partenza è: perché ai maschi piace vedere la violenza, al cinema e in tv? Nella mia ingenuità, e nell’arroganza totale con cui risponderò alla domanda, credo di aver sollevato un quesito che rimbomba nella testa degli psicologici della comunicazione da decenni. E probabilmente ci sono anche delle risposte articolate e complesse, argomentate in spessi libroni da biblioteca.
Ecco, siccome non ho voglia di documentarmi, vado a braccio, e dico quello che bene o male tutti sentono a pelle. La rappresentazione della violenza è per la maggior parte di noi maschi una specie di sfogo ancestrale, un richiamo istintivo a una forma di vita selvaggia che è ancora sepolta da qualche parte nel nostro codice genetico. Questo non significa necessariamente che siamo tutti animali in semplice attesa di qualcosa che faccia scattare una molla, per quanto talvolta questo succeda. Per quanto mi riguarda, io sono uno che si caga sotto al solo pensiero di una rissa vera, e sono una pasta d’uomo che non farebbe del male a una mosca. Questa condizione è frutto del mio DNA, del modo in cui sono stato educato e dell’ambiente in cui sono cresciuto, ed è una condizione ormai quasi irreversibile.
Ciò detto, però, quel poco di primitivo che ancora alberga dentro di me è sempre pronto a provare entusiasmo sincero e piena partecipazione emotiva di fronte a una violenza fittizia che sia insieme coinvolgente e del tutto innocua. Nel loro apprezzare la violenza raccontata su uno schermo (o su una pagina scritta o disegnata, ecc), i maschi riescono anche a trovarci delle differenze, a stabilire delle classifiche che la maggior parte delle femmine giudica inconcludenti, perché per loro “è tutto uguale”. No ragazze, non è tutto uguale, perché Steve Seagal picchia in un certo modo, e Van Damme in un altro, giusto per recuperare vecchie polemiche anni Ottanta e Novanta.
Per i maschi, la violenza audiovisiva è l’equivalente delle commedie romantiche per le donne, che scorgono le più piccole variazioni dentro storie d’amore che noi classificheremmo sotto la generale etichetta di “lui e lei si piacciono ma ci vuole un po’ prima che finiscano insieme”.

Il lungo preambolo serve a spiegare il motivo più basilare e istintivo per cui ci piace Banshee. Perché riesce a unire i classici elementi da film western/macho (una cittadina incasinatissima, un eroe con le palle, cattivi cattivissimi, parolacce e battute al testosterone) con una rappresentazione della violenza perfettamente riuscita, secondo quei canoni primitivi di cui si diceva prima: in pratica non c’è un episodio di Banshee in cui il protagonista non sia tumefatto, livido, escoriato, pestato, ma in cui non sia riuscito a rispondere con una corrispettiva dose di pugni e calci e morsi. Da questo punto di vista, l’episodio migliore è forse quello con il flash back carcerario, in cui il povero Hood deve vedersela con quell’energumeno albino. Lo scontro tra i due, il cui peso narrativo è un semplice “vediamo quanto era brutta la vita di Lucas in carcere”, ha però un grande valore visivo, scopico, perché mette in scena una cruda lotta tra un uomo “normale” e un vero e proprio mostro. Ecco dunque il valore epico, millenario: in quell’episodio Hood è una specie di Ulisse contro Polifemo, e la battaglia diventa un momento da ricordare in quanto tale, senza bisogno di ulteriori sovrastrutture concettuali: è bella perché riesce a scatenare la produzione di dopamina nel nostro cervello.

Ma dunque Banshee è solo questo? Una collezione di scene di violenza ben coreografate?
Ovviamente no. Se fosse solo questo verrebbe a noia anche a noi.
Fortunatamente Banshee nasce su Cinemax, che è la costola “ancora più maschile” di HBO ma sempre HBO rimane. C’è dunque un’attenzione per la storia e lo sviluppo dei personaggi che se non arriva ai livelli di un Game of Thrones o di un Boardwalk Empire (in termini di stratificazione e complessità), allo stesso tempo eleva facilmente Banshee dall’acquitrino sanguinolento in cui poteva rimanere confinata, per darle una nobiltà che altrimenti non avrebbe.
La trama di Banshee, il suo fitto reticolato di intrighi, sorprese e parentele incrociate, crea una base narrativa abbastanza solida da offrire una sorta di giustificazione intellettuale alla violenza e al sesso. In un nodo inestricabile, la prima stagione di Banshee ha offerto una storia molto potente, che ha dato forza emotiva a una lunga sequela di scene assai crude che a loro volta sono il sugo con cui la storia è stata condita. Togliere uno dei due elementi farebbe crollare tutta la struttura, costringendo a cambiare canale tanto ai maschi quanto alle femmine (che comunque ci sono, visto che la mia fidanzata se lo guarda di gusto, anche se si copre gli occhi quando cominciano a tagliare arti e dita). E proprio il fatto che la maggior parte dell’attenzione sia comunque diretta alla “prossima scena di pestaggio”, rende meno fastidiosi alcuni squilibri e inciampi narrativi che altrimenti sarebbero stati troppo evidenti – si veda la fuga finale di Rabbit (cazzo, hai sparato a tutti in testa, e a lui spari al petto così che poi se la fila?!?), o un equilibrio non sempre impeccabile tra i due cattivi Rabbit e Proctor.

In questo senso, il parente telefimico più prossimo di Banshee è probabilmente Spartacus, che lavora più o meno sullo stesso concetto di “trama solida + violenza + tette al vento”. La grande differenza, però, è che Spartacus ha uno stile esplicitamente esagerato, pompato, visivamente “oltre”, che è insieme la sua cifra stilistica migliore e lo strumento più facile con cui arrivare al ridicolo. Banshee rimane invece in un ambito più “realistico” (si notino le virgolette), cercando di superare le nostre barriere razionali e andando ad accarezzare quella parte di noi che vuole credere sul serio all’esistenza di uomini così tosti e forti, con cui spera in qualche modo di immedesimarsi.
Tutto questo giusto un attimo prima di alzarsi dal divano e scoprire che ci fa male la schiena.

La seconda stagione di Banshee è già stata ordinata, e il finale della prima ha rivelato l’intenzione di riportare in primo piano il grande segreto, cioè il fatto che Lucas Hood non è Lucas Hood, e che il vero sceriffo è sepolto in mezzo al bosco. Posso immaginare, anzi voglio sperare, che i problemi verranno risolti tramite il supporto di ossa spezzate, naso schiacciati e pelle lacerata.
Appuntamento al 2014.



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