Mario – La serie di Maccio Capatonda di Diego Castelli
Genio o demenza?
Le incursioni di Serial Minds nella fiction italiana si contano sulle dita di una mano. E questo si deve al fatto che della fiction italiana abbiamo una considerazione molto scarsa. E’ un giudizio puramente critico, intellettuale, non di resa commerciale: se il Medico in Famiglia piazza ancora i 25% di share, e se I Cesaroni o Distretto di Polizia sono andati avanti per anni attirando milioni di spettatori, non si può dire nulla sulla loro capacità di raggiungere il loro principale obiettivo, cioè fare ascolto.
Ciò non toglie, ovviamente, che la nostra opinione di critici al riguardo sia piuttosto netta: nella grande maggioranza dei casi, la fiction italiana appare vecchia e bolsa, adagiata su schemi triti e ritriti, incapace (o peggio, non interessata) e creare alcunché di nuovo.
Ovviamente ci sono state e ci sono delle eccezioni, sia sulle principali reti generaliste sia, soprattutto, sulla pay tv, che pur agendo col contagocce è riuscita a elevare un po’ il livello generale dell’offerta di fiction originale, rivolgendosi a un pubblico di estrazione socio-culturale più alta e per questo più pronto ad accettare sperimentazioni (vedasi i Boris e i Romanzo Criminale). Un po’ come era successo con HBO negli USA, una decina di anni fa.
Oggi però non parliamo né delle grandi generaliste, né della pay tv. Finiamo invece su Mtv, un network da qualche anno in crisi di identità, accusato di essere una tv musicale senza più musica, ma che a livello internazionale ha saputo produrre un buon livello di serialità. Una serialità televisiva a cui ora si dedica anche Maccio Capatonda.
Il buon Maccio (al secolo Marcello Macchia) è un volto ormai noto da chiunque ami stare al passo con l’umorismo, e basta andare su wikipedia per accorgersi che il suo curriculum è ben più denso di come potremmo pensare. Macchia ha diretto spot e videoclip, partecipato a vari programmi televisivi su diverse reti e in varie forme, creato webtv e colonizzato youtube grazie allo spargimento ossessivo dei suoi finti trailer cinematografici (tutt’oggi la sua creatura più nota e riuscita).
Ma non aveva mai dato vita a un prodotto organico e compiuto come una serie prodotta per la televisione (caso diverso quello delle web series, che invece sono relativamente numerose).
Io non sono un esperto di Maccio, ma di sicuro sono un fan. Nel corso degli anni ho guardato e riguardato molti dei suoi video, riconoscendogli una cifra stilistica efficace e personalissima. La comicità di Maccio Capatonda è in gran parte basata sul linguaggio, sulla ricerca ossessiva di neologismi e storpiature, messe in bocca a personaggi di stupefacente ignoranza e inadeguatezza. E sotto questa superficie di umorismo linguistico a tratti molto triviale, si nasconde un occhio critico e pungente sugli aspetti più ridicoli della nostra società, specie sul fronte comunicativo.
E’ proprio in questa direzione, restando dentro un solco comico ormai tracciato da anni, che si inserisce Mario. Protagonista è il conduttore di MTG, un telegiornale che nel corso del pilot passa nelle mani del perfido Lord Micidial, un vecchio miliardiario interessato solo al profitto e alle sponsorizzazioni. I vari episodi di Mario sono costruiti come finti tg, insieme a un po’ di “dietro le quinte” che raccontino della produzione del programma e dei retroscena politici.
E tutto è rigorosamente in stile Maccio Capatonda, con mille giochi di parole, i soliti, orrendi attori che Macchia si porta dietro da anni, e un intento parodico dissacrante e totalmente esplicito. A essere preso di mira è soprattutto il mondo dell’informazione italiana, un mondo in cui i gattini, il meteo e le storie di morte contano molto più delle notizie vere, e dove la forza degli sponsor arriva a sporcare perfino l’istituzionalissima diretta di un telegiornale.
E’ un intento parodico abbastanza “banale”, se volete, ma i telegiornali italiani offrono effettivamente così tanti spunti, che la scelta di questo oggetto di scherno finisce con l’essere tutt’altro che fuori luogo o demodé.
Ed essendo una serie profondamente macciocapatondiana (mi si passi il termine), è probabilmente un prodotto da dentro o fuori: chi apprezza da sempre la comicità di Macchia finirà con l’apprezzare anche questa produzione, altrimenti cambierà canale.
Ma quello che appare più interessante, in termini seriali, è la capacità (o meno) di Capatonda e dei suoi di reggere il formato televisivo, venti minuti di free tv (per quanto di nicchia) contro i soliti, pochi minuti degli sketch sul web o su Mai dire….
Da questo punto di vista l’operazione è riuscita, pur con qualche scricchiolio. Dentro Mario ci sono ampi sprazzi di satira intelligente e, diciamolo pure, aperta genialità (ben più che ne I Soliti Idioti, che a mio giudizio rimangono almeno in parte sopravvalutati). Penso all’inviato che non ha niente da dire e si limita a farsi vedere all’estero, penso ai sottotitoli completamente inutili per Genny, penso al lutto degli incomprensibili abitanti delle campagne, incapaci di spiaccicare una parola di italiano e, anzi, convinti che sia stata la cultura a uccidere il loro congiunto. E si potrebbero citare molti altri esempi, comprese le ottime imitazioni di Salvo Sottile e Luciano Onder, anche se il picco è raggiunto dagli “attacchi di pane”: un povero anzianotto che quando si trova in condizione di stress viene colpito da michette provenienti da chissà dove. Si tratta forse dell’esempio più chiaro e limpido della comicità di Capatonda, basata sul linguaggio (“pane” al posto di “panico”) e condita con una nota di palese surrealtà.
Se di buone idee ce ne sono tante, i suddetti scricchiolii vengono proprio dalla necessità di lavorare su un formato più lungo e possibilmente omogeneo. Pur essendo passato alla serialità vera e propria, Macchia rimane legato alla forma dello sketch, immediato e autosufficiente, che trasforma i singoli episodi in un lungo collage di scenette. Che va anche bene, per carità, ma la sensazione un po’ paradossale è quella di trovarsi nuovamente di fronte a una collezione di sequenze pensate per la diffusione via web, dove tutto tende a essere tanto efficace quanto breve.
Pensiamo a 30 Rock, giusto per rimanere nell’ambito di una serie molto “meta”. Fare il paragone con un capolavoro del genere è sicuramente poco gentile nei confronti di Mario, ma il concetto è vedere come gli episodi delle sitcom americane (almeno quelle riuscite) siano sempre racconti compiuti, in cui la singola gag, per quanto estemporanea, è costamente percepita come parte di un tutto ordinato. In Mario non sempre questo avviene, e la tenuta della serie sul medio-lungo periodo ne risente un po’.
Detto tutto questo, e sottolineando che per la serialità italiana c’è ancora tanta strada da fare, il lavoro di Maccio Capatonda è una piccola ma vispa luce in un modo altrimenti troppo grigio. Spazio per migliorare ce n’è sempre, ma avercene di trentacinquenni con uno stile così.
:
Perché seguirla: Perché vi piace il seguente video:
Perché mollarla: Perché il video qui sopra vi è sembrato solo un’accozzaglia di imbecilli che fanno cose imbecilli.
:
: