Wedding Band – Brian Austin Green che suona ai matrimoni di Diego Castelli
Amici cialtroni e feste pazze
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Uno dei temi più sfruttati dall’audiovisivo degli ultimi anni (televisivo e cinematografico) è la cosiddetta “bromance”, cioè il vivere/lavorare/divertirsi di un gruppo di amici maschi con poca voglia di crescere e tanta di cazzeggiare, senza pensare ai pannolini da cambiare o alle prime rughe sotto gli occhi. Si va dal franchise di Una Notte da leoni al rapporto giocherellone tra Barney, Ted e Marshall in How I Met Your Mother, con in mezzo mille mila sfumature più o meno fortunate (vedi Man Up o Guys with Kids).
La serie di oggi, il cui pilot è appena andato in onda senza che noi ce ne ricordassimo, è tutta basata su questo concetto: protagonista è Tommy, interpretato da Brian Austin Green, ex Beverly Hills 90210, ex Desperate Houseviwes, ex Sarah Connor Chronicles, e sempre più figo man mano che passano gli anni. Tommy è un mezzo spiantato con la passione per la musica e le feste, che insieme a tre amici ha compreso una verità semplicissima: per uno a cui piace molto la musica e poco la cravatta, la soluzione definitiva per staccare dalla vita “vera” è suonare ai matrimoni (e alle feste di liceo, ai bar mitzvah ecc). Cibo gratis, platea per definizione allegra e casinista, un assegno a fine giornata, e soprattutto damigelle d’onore che, secondo stereotipo, non vedono l’ora di farsi rimorchiare da qualunque maschione ribelle che passi di lì, per una qualche forma di erotismo da abito bianco che non ho mai compreso appieno, ma che pare sia la costante di ogni cerimonia cine-televisiva americana.
La faccenda è più o meno tutta qui, e si capisce tutto nei primi dieci minuti: i lavori noiosi e i figli petulanti abbandonati nel week end, le mini-folle in delirio, le canzoni, la goliardia, i costumi, la band rivale con cui fare a botte e finire in galera. Il semplicissimo concept consente di mettere in scena una lunga serie di situazioni molto diverse: di puntata in puntata, e di festa in festa, gli autori possono far succedere quello che vogliono, passando da un party particolarmente selvaggio all’imbarazzo di esibirsi in posti più seriosi. La commedia è ovviamente il registro principale, con particolare attenzione ai personaggi buffi, agli equivoci e alle situazioni imbarazzanti.
Il buon Brian – supportato, tanto per citarlo, dall’Harold Perrineau di Lost e Sons of Anarchy – dimostra di essere un bravo cantante e un discreto uomo da palco (suona anche nella vita extratelefilmica), anche se la sua funzione principale è quella di attirare le spettatrici adoranti e gli spettatori gelosi, tutti insieme riuniti per invidiare una vita di grande libertà e divertimento.
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia, necessario a dare un po’ di spessore. Tommy è padrone di sé stesso e figo da morire, ma insomma, canta ai matrimoni, non è mica Mick Jagger: deve fare i conti coi clienti esigenti, con un conto in banca non proprio rassicurante, e infine con una vecchia fiamma che ancora gli fa battere il cuore da pirata, e che ovviamente lo ingaggia per suonare al suo matrimonio. Stratagemma ultraclassico: prendi il figaccione, rendilo ribelle e dongiovanni, ma non dimenticare di dargli anche un cuore ferito e una situazione in cui farlo sanguinare, in modo che tutte le spettatrici entrino subito in modalità crocerossina.
Vabbe’, ma la serie com’è? E che volete che vi dica… qui tocca ripetere la formula fin troppo usata questo autunno: il pilot è divertente e strappa più di un sorriso, l’idea non è neanche male, ma alla fin fine nemmeno questa è la bomba che stavamo aspettando. Potrebbe prendere qualunque direzione senza perdere coerenza, e questo è un bene, ma già ora il livello della scrittura non le consente di elevarsi oltre quel maledetto standard del “carina, ma non ci strappiamo le vesti”.
C’è un’ulteriore problema, più oggettivo: partito su TBS, una rete che solo da poco ha iniziato l’avventura della fiction originale, ha già fatto registrare ascolti inferiori ad altri recenti prodotti del canale, come Men At Work e Sullivan & Son. La collocazione al sabato sera, inoltre, sembra suggerire una scarsa fiducia da parte della stessa TBS. Cioè, cosa lo avete fatto a fare, se poi lo mettete lì?
Avrete capito che c’è pure caso che non vada oltre la prima stagione.
Dategli una chance, se volete. Di sicuro non c’è il rischio di rigettare la cena come successo al Villa con Beauty & The Beast o Malibu Country, ma non aspettatevi i miracoli.
Perché seguirla: è una serie carina.
Perché mollarla: è la trentanovesima serie “carina” (o giù di lì), arrivata in un momento in cui vorremmo disperatamente una serie “della Madonna”.
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