Arrow – Smallville incontra Revenge e imita Batman di Diego Castelli
CW ci riprova coi supereroi
ATTENZIONE: SPOILER SUI PRIMI DUE EPISODI (NIENTE DI OSCENO, PERO’ INSOMMA…)
Oliver Queen, interpretato dal prestante Stephen Amell, è il rampollo di una ricchissima famiglia, che a seguito di un incidente di barca finisce su un’isola deserta in cui sopravvive a stento per cinque anni, prima di essere ritrovato e riportato a casa. Ovviamente l’Oliver post-isola è molto diverso da quello pre-: temprato nel fisico e nello spirito, è deciso a lasciar perdere alcol ed escort per diventare un giustiziere mascherato che ripari i molti torti compiuti a Starling City, corrotta e degradata anche per colpa del suo defunto (e infine pentito) padre.
Questo il concept di Arrow, nuova serie di CW che molti pensavano essere uno spinoff di Smallville, e che invece è un prodotto a sé stante, nella storia come nello stile, che con la vecchia serie come Tom Welling ha da spartire solo il personaggio di Freccia Verde, peraltro interpretato da un attore diverso (all’epoca era Justin Hartley, ora finito a fare Emily Owens).
Più che al giovane Superman già visto sulla stessa rete, Arrow sembra ispirarsi al Batman di Christopher Nolan: si parte da un personaggio strutturalmente simile, senza poteri ma con tanti soldi, un fisico perfetto e una miriade di gadget tecnologici. C’è lo stesso protagonista duro e insieme ferito dai fatti della vita (Bruce Wayne perde i genitori e si allena con la Setta delle Ombre, Oliver perde il padre e viene allenato da… ancora non si sa). Al ritorno a casa, entrambi fingono di essere i soliti gigioni, quando in realtà covano depressioni amletiche e pensano solo al modo migliore per mettersi una maschera e catturare i cattivi.
Per ora Arrow non tocca nemmeno lontanamente le vette filosofiche dei film sull’Uomo Pipistrello, ma il mood è quello lì, e va sottolineato soprattutto in relazione alla normale programmazione di CW (immagino abbiate letto la recensione del Villa su Beauty & The Beast…).
Nel titolo citavo anche Revenge. Già perché Oliver, tornato a casa in cerca di generica vendetta, ha una lista di cattivi da spuntare man mano che li punisce. Insomma, più o meno la stessa cosa che succede(va) nella serie con Emily Van Camp, e devo dire che in entrambi i casi fa abbastanza ridere.
Il punto di forza di Arrow sta proprio nell’atmosfera e nello stile visivo. Arrow è bella da vedere, è scura, fascinosa, ben girata nelle scene d’azione (oddio, ogni tanto qualche effetto speciale fa gridare di orrore, ma vabbe’…), e può contare su un protagonista che è un figo vero: un po’ monoespressivo, a dirla tutta, ma dallo sguardo magnetico e con un fisico clamoroso, con muscoli di cui nemmeno sapevo l’esistenza.
La questione principale, per l’accettabilità o meno di una serie come questa, riguarda la gestione delle Grandi Cazzate.
Il fumetto supereroistico americano, più di altre forme di fiction, ha sempre chiesto una grande capacità di sospendere la propria incredulità. Per seguire con passione le avventure di Hulk, Spiderman o Batman, dobbiamo essere in grado di accettare che una bomba gamma trasformi un uomo in un gigante verde invece di liquefarlo sul posto, o che il morso di un ragno radioattivo dia poteri da aracnide piuttosto che tumori dell’ipofisi, o ancora che un miliardario, in nome della giustizia, decida di picchiare ladri e assassini indossando un pigiama di kevlar, piuttosto che darsi alla politica e investire i suoi soldi in una polizia più efficiente. Sono Grandi Cazzate che devono essere accettate, pur nella loro sostanziale follia, per sognare mondi altrimenti impossibili.
Se ci basassimo solo sul pilot, Arrow ne sparerebbe davvero troppe, di GC. Perché il tempo passato in solitaria sull’isola sembra aver trasformato Oliver non solo in un arciere palestrato, ma anche in un esperto combattente corpo a corpo, in un conoscitore sopraffino della lingua russa, e in un possessore di strani bauli venuti da chissà dove. Non è che le lingue si possano imparare bevendo dai ruscelli, voglio dire. Fortunatamente, a superare tutte queste potenziali gaffes arriva il secondo episodio, che in un flashback ci mostra un altro, misterioso “Frreccia Verde” sull’isola, che evidentemente sarà il maestro di Oliver. Un rigattiere ninja sovietico, a giudicare dalle future abilità del giovane Queen, ma pur sempre un tizio in carne e ossa che possa insegnargli tutto.
Purtroppo qualche bella minchiata c’è anche a Starling City. E’ dalla nascita di Superman che la gente si chiede “ma com’è che quello si mette gli occhiali e non lo riconosce più nessuno? Io la gente la riconosco anche al telefono, manco mi serve vederli”.
Se il trucco poteva funzionare negli anni Trenta, ora siamo meno propensi a berci tutto. In questo senso, il Green Arrow dei fumetti ha effettivamente solo un cappuccio/cappello + mascherina per coprire la sua identità – ed è quindi giusto non cambiare più di tanto questa impostazione – ma in Smallville avevano avuto almeno l’accortezza di inserire anche un disturbatore vocale. L’Oliver Quenn di Arrow, invece, si mette in testa il cappuccio e si trucca un po’ gli occhi, finito.
Non può che suonare curioso il fatto che nessun cattivo dica “Ma scusa, tu non sei il famoso Oliver Queen? Dai che ora ti stermino tutta la famiglia!”
Insomma, Arrow ha buone potenzialità, un certo fascino “maschio”, e ha piazzato qui e là qualche bella sorpresina (anche se, per dire, il secondo episodio mi è già parso meno efficace del pilot). L’importante, adesso, è sviluppare una storia orizzontale che tenga avvinti senza sacrificare l’anima action, ma soprattutto bisogna evitare troppe facilonerie, o dinamiche da teen drama che mal si sposano con uno stile visivo così evidentemente “adulto” (penso ad esempio alla sorellina di Oliver, che vorrei già vedere infilzata da molteplici dardi).
Gli ascolti delle prime due puntate sono stati buoni, e il full season order è stato confermato, per una serie che sapeva dove colpire e ha fatto centro (mamma mia le metafore da Robin Hood…). Quindi c’è tempo e agio per migliorare ulteriormente un prodotto non perfetto, ma che ha comunque una sua identità. Identità non segreta, perché non è che puoi mettere la felpa e sperare che non ti riconosca nessuno, dai…
Perché seguirla: l’action-super-fumettistico non è esattamente battutissimo dalle serie tv. Per chi ama il genere, Arrow fornisce leggero ma apprezzabile intrattenimento (cento volte meglio di The Cape, per dire, ve lo ricordate?).
Perché mollarla: parliamo comunque di un figaccione vestito da jogging che combatte il crimine con arco e frecce. Capisco che a molti possa scappare da ridere…
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