Homeland – La seconda stagione parte a mille di Marco Villa
Claire Danes, Claire Danes, ma quanto spacchi?
VABBE’, OVVIAMENTE LEGGETE SOLO SE AVETE VISTO L’INIZIO DELLA SECONDA STAGIONE
Homeland ce lo coccoliamo dalla prima puntata. Ci è piaciuto da subito e abbiamo esultato non poco quando ha vinto tutti i premi più importanti agli Emmy. Perché il fatto è semplice: Homeland è una bomba. Ha il concept, i personaggi, gli intrecci, il cast, l’aspetto visivo. Ha tutto. Quella che 12 mesi fa era una delle serie più promettenti è già diventata una delle migliori serie degli ultimi anni e probabilmente sarà tra quelle che caratterizzeranno gli anni dieci. Sì, è vero, ci piace puntare alto e rischiare di bruciarci con le dichiarazioni, ma dopo una season premiere come questa, è il minimo. Puntiamo tutto, di più, anche su questa seconda stagione.
Si era rimasti con un Brody ancora nelle maglie di Al Qaeda e una Carrie che si sottoponeva volontariamente all’elettroshock. Mica cazzi eh, quell’immagine finale di Claire Danes che mordeva il paradenti è stata tra le cose più forti viste negli ultimi tempi. La ripartenza non è a tradimento o da colpo di scena, ma è comunque potente. Troviamo Brody in costante ascesa politica e Carrie che sembra aver ritrovato un proprio equilibrio lontana dalla CIA (inizialmente suo malgrado, poi con una certa convinzione). Nel corso dei 40 minuti, ovviamente, queste due situazioni daranno chiari segni di instabilità: la fede musulmana di Brody rischia di venire allo scoperto (e presumibilmente sarà uno dei cardini della stagione) e manda in crisi il rapporto con la moglie. Allo stesso tempo, appare evidente come l’ex prigioniero sia una pedina o poco più nelle mani di Abu Nazir (secondo cardine stagionale).
Un percorso sempre più scuro e in caduta, contrario rispetto a quello intrapreso da Carrie, che viene tirata fuori a forza dal suo buen retiro (ok, ho sempre sognato di usare questo termine dai tempi in cui Craxi stava ad Hammamet. Ora posso dimettermi da Serial Minds) dagli amici e colleghi di un tempo. Va detto che il ritorno di Carrie è tutto tranne un ritorno trionfale: non prova la solita riluttanza del personaggio che viene tirato in mezzo contro volontà, ma, sotto sotto, non aspettava altro. No: Carrie sta male per il fatto di essere fuori dalla CIA, ma sta ancora peggio al pensiero di tornare nel giro. Però la sua natura è quella e ovviamente finisce per accettare. Così, a fine puntata, il sorriso tirato e nervosissimo sul suo viso (The Smile è anche il titolo della puntata), dopo aver abbattuto il suo inseguitore, è il perfetto contraltare all’immagine dell’elettroshock cui accennavo prima. Ed è la conferma che quella statuetta, ritirata a Los Angeles una decina di giorni fa da Claire Danes come miglior attrice, è strameritata.
Questo sui personaggi. E non è poco. Ma la cosa più bella è legata alla trama in generale. Rendiamoci conto un attimo: Homeland sta parlando di un mondo in cui Israele ha attaccato militarmente l’Iran. Non roba da poco, uno scenario fantapolitico che in teoria potrebbe perdere il prefisso fanta anche tra cinque minuti. Non è più la semplice storia complottista delle spie che giocano alla guerra fredda: siamo passati a un altro piano, all’invenzione di un futuro prossimo estremamente plausibile e verosimile. E questo è un valore aggiunto enorme, perché offre ulteriore forza a una serie che già di suo ne aveva da vendere.
Homeland lo coccoliamo dall’inizio. Ecco perché siamo così contenti di vederlo andare in giro sempre più spavaldo e senza paura. In fondo è anche un po’ merito nostr… no vabbè, non diciamo cazzate va’.