Breaking Bad 5 – E’ il momento di Darth Walt di Diego Castelli
Ultima stagione di una serie di culto
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ATTENZIONE: SPOILER SUL PRIMO EPISODIO DELLA QUINTA STAGIONE. NON DEVASTANTI, PERO’ INSOMMA…
Niente introduzione infiocchettata, partiamo da un dato: la premiere della quinta stagione di Breaking Bad è stata l’episodio più visto dell’intera serie, 2,9 milioni di persone, 14% in più della premiere dell’anno scorso.
Qual è il motivo semiotico, sociologico, culturale di questo risultato? Semplice: Breaking Bad è una serie della Madonna. Una serie non semplice, non rapida, che può spaventare (nel senso di “far scappare”), ma che ha saputo vincere premi, far parlare di sé, attrarre pubblico che all’inizio l’aveva rifiutata a priori o persino abbandonata, ma che poi ha trovato tempo e voglia di recuperarla, ricavandone solo soddisfazioni. Qualche italiano l’ha vista anche su consiglio nostro, e piazziamoci un po’ di orgoglio da blogger.
Poi oh, gli abbonati di AMC saranno anche aumentati rispetto all’anno scorso, ma questo motivo è del tutto privo di poesia, e lo rigetto con violenza.
Bisogna anche dire che questa premiere era molto attesa, e non perché la stagione scorsa avesse lasciato col fiato particolarmente sospeso. Anzi, paradossalmente è avvenuto il contrario: con la chiusura della vicenda legata a Gus Fring, letteramente e gustosamente dilaniato, sembrava essersi chiuso un cerchio. Sembrava che Walt – passata da tempo la paura del cancro e sconfitti i criminali che minacciavano lui e la sua famiglia – potesse tornare a una vita quasi normale, al netto delle ricadute psicologiche di mesi passati nello stress più totale.
Eppure, quel finale hitchcockiano ben descritto dal Villa lo scorso anno, quello in cui si capiva che Walter aveva compiuto qualche passo in più verso il lato oscuro rispetto a quelli strettamente necessari per sopravvivere, aveva acceso l’interesse di tutti i fan, facendo capire che no, non si poteva affatto tornare indietro.
Per quattro anni abbiamo seguito le vicende di un uomo “costretto” al male. Un uomo trovatosi in circostanze così avverse, da trasformarsi in un animale braccato, chiuso in un angolo, pronto a usare fino all’ultima delle sue unghie (che in questo caso vanno chiamate “intelligenza”) per farsi strada verso la salvezza. E l’abbiamo adorato per questo.
Ora però, dopo quel particolare finale, la quinta e ultima stagione sembra destinata a dare pieno compimento al titolo dello show. E’ arrivato davvero il momento di diventare “bad”, perché ora Walt non è una vittima degli eventi, un povero cristo sempre sull’orlo dell’abisso. No, adesso Walter ha distrutto i suoi avversari, ha fatto cose sporchissime, e sembra pronto e deciso a prendersi la sua rivincita. Con i fottutissimi interessi.
A giudicare dall’evoluzione del personaggio e dal tipo di promozione che AMC ha messo in campo, dobbiamo aspettarci una nuova vita criminale per il protagonista, unita probabilmente a una qualche forma di resa dei conti con Jesse, che come aveva sottolineato il Villa rischia di diventare l’unico vero “buono” dello show.
Ma se questa è la strada tracciata – e l’interesse consisterà nel vedere come verrà percorsa – non significa che non ci sia spazio per qualche sorpresa. Già la premiere, infatti, è un po’ diversa da come ce la si poteva aspettare: c’è un gusto inusuale per una narrazione relativamente svelta e ironica, che riprende certi film da guardie e ladri, o una sorta di versione più sporca di Ocean’s Eleven. Vedere Walt che fa girare il cervello allo scopo di distruggere le prove a suo carico trasforma l’episodio in un piacevole racconto di genere, divertente e ritmato.
Detto questo, e tenendo presente che ancora non sappiamo nulla di quel Walter capelluto e stanco che vediamo a inizio puntata, ci sono poi tutti quegli elementi di sviluppo di cui si diceva poco sopra. L’intero episodio è un magnifico cambiamento espressivo dalla figura del protagonista: è entusiasmante assistere alla trasformazione operata da Bryan Cranston, passato da pavido e stressato ex professore a mente criminale lucida e micidiale. E’ il proseguimento di quanto intuito nel finale dell’anno scorso, e la trasformazione è visibile in ogni inquadratura e in ogni gesto, da come Walt sta seduto dietro nella macchina guidata da Mike, come un boss della mala, al dialogo con Saul, che non è mai stato un cuor di leone, ma nemmeno è mai parso così intimorito dalle parole secche e minacciose del suo cliente più problematico.
Sia chiaro: non è un cambiamento troppo netto e – perciò – ridicolo. E’ un aggiungersi progressivo di sfumature, che non è iniziato con questo episodio, ma che qui inizia a trovare una dimensione precisa. Un crescendo, appunto, che sicuramente proseguirà in futuro, e che nella strana gaiezza generale della puntata passa quasi sotto silenzio, salvo poi accorgerci che l’uomo che abbiamo di fronte non è più quello che conoscevamo.
Da qui in poi può succedere di tutto, ma sappiamo bene che il fascino del lato oscuro non ci farà più perdere un solo minuto, anche se magari potremmo trovarci a desiderare la morte di Walt, piuttosto che la sua salvezza. Sarebbe un cambiamento senza precedenti, chissà…
Rimane solo una grossa perplessità. E riguarda la decisione di dividere l’ultima stagione in due parti. Perché? Soprattutto, perché così in ritardo, quando pare evidente – a giudicare dalle rimostranze degli autori e del cast – che l’arco di sedici episodi non sia stato concepito e scritto per essere ripartito su due annate differenti?
Il timore è che il passaggio di Walt al Male, pensato come percorso unitario e di intensità crescente, possa venire menomato da un’interruzione arbitraria e non accuratamente preparata.
Perché questa è una serie che vive della bellezza di piccoli dettagli, e dividere una stagione in due così, a cazzo di cane, non pare un bel dettaglio, e neppure piccolo.