20 Giugno 2012 1 commenti

Dallas di Diego Castelli

Il ritorno dei texani bastardi

Copertina, Pilot


Sono confuso dal comportamento dei volonterosi sottotitolatori italiani: Dallas era una delle serie più attese dell’estate (a prescindere dalla qualità, di cui ora parleremo), e qui nessuno che ne tiri fuori uno straccio di sub italico.
Vabbe’, a sto punto noi ne parliamo lo stesso, cercando di essere poco spoilerosi.

Diciamolo subito: io non ho mai visto una puntata del vecchio Dallas. E’ terminato nel 1991, quando avevo nove anni, ed era iniziato che ero niente più che un pensiero nella testa dei miei futuri genitori. E comunque avrei scelto Supercar.
Ovviamente, questo deficit di esperienza non mi ha impedito di percepire cosa può essere stato Dallas in quegli anni, e poi c’è Wikipedia.

Facciamo un minimo di storia. Dallas era una soap travestita da telefilm, o un telefilm con atmosfere da soap. Wikipedia lo definisce soap opera, anche se il numero di episodi annuali (una trentina) fa pensare a un corposo telefilm (tanto per dire, una soap opera “pura” come Beautiful ha centinaia di episodi all’anno). Allo stesso tempo, il tipo di immagine, le storie raccontate, e molti altri dettagli farebbero pensare a una soap opera fatta apposta per la prima serata.
A parte questi tecnicismi, Dallas è stato un vero fenomeno mondiale. Un successo spaventoso, una caterva di premi, personaggi entrati nell’immaginario colletivo e diventati colonne della pop culture, invenzioni destinate a rimanere negli annali, come il mistero legato al ferimento del protagonita J.R. o la cosiddetta “Dream Season”, un’intera stagione rivelatasi un sogno di uno dei personaggi, al solo scopo di salvare Bobby, personaggio ucciso ma reclamato a grandissima voce dai fan e per questo “resuscitato” in una delle operazione più pacchianissime della storia della tv.
Alla fine, quello che forse è rimasto più impresso nella memoria degli spettatori, è proprio il personaggio di J.R., uno che nella mente degli autori doveva essere un personaggio secondario, e che invece è diventato uno dei cattivi più amati (se così si può dire) di sempre: avido, crudele, traditore, meschino fino alla punta dei capelli, J.R. è diventato un simbolo di malvagità, nel suo cappello da cow boy e nella sua spocchia da petroliere senza scrupoli.
Suo rivale prediletto è stato Bobby, il fratello minore, guidato da inossidabile altruismo e bontà.

Proprio su questi due personaggi si basa la rifondazione del franchise, deciso da TNT (la rete originale era CBS) nel tentativo di riportare ai fasti un marchio di fama universale.
Il formato scelto è meno ambiguo: siamo di fronte a una normalissima serie tv, che però cerca di riprendere le atmosfere e gli intrecci ben conosciuti all’epoca. E’ pressoché certo che non avrà lo stesso successo di allora (i primi due episodi hanno fatto ottimi ascolti, ma siamo proprio in un altro campo da gioco), ma l’interesse per questa operazione, per noi 20-30enni, deriva da un’altra riflessione.
Pensateci: c’è gente che ha seguito questa cosa per quindici anni, e che dopo altri vent’anni può sapere che diavolo sta succedendo “ora”. Perché il nuovo Dallas è davvero un sequel: c’è un vecchissimo ma ancora diabolico J.R, c’è Bobby, anche piagnone, c’è Sue Ellen, la donna con cui J.R. s’è preso e lasciato un sacco di volte, ci sono i bambini John Ross – che a quanto pare ci tiene a essere chiamato sempre con entrambi i nomi, visto che sembrano pronti a morire piuttosto che chiamarlo solo “John” – e Christopher, che all’epoca erano in qualche modo pedine di giochi più grandi di loro, e che invece adesso sono i veri protagonisti, in una riproposizione da nuovo millennio della faida di Bobby e J.R.

Pensateci per un minuto, miei cari coetanei: è come se nel 2024 ricominciassero a fare Friends, o House, o Desperate Housewives, o una qualunque altra serie per cui avete sbavato per anni. Questa dev’essere la sensazione per chi aveva amato Dallas, a prescindere, ancora una volta, dalla qualità intrinseca del prodotto. E’ una cosa abbastanza potente, se ci pensate, qualcosa che non ho mai sperimentato sulla mia pelle e che forse mai sperimenterò, chissà.

Se a questo punto siete pronti per un giudizio, ce la caviamo rapidamente.
Dallas fa quello che deve fare. E’ una grossa, intricata, virulenta saga familiare, in cui tutti i membri della famiglia – compresi amici, mogli, soci in affari, amanti e domestici – hanno un piano preciso in mente, e pochi scrupoli nel portarlo a termine. Nel doppio episodio iniziale sono già innumerevoli i sotterfugi, i segreti, le rivelazioni scottanti, i misteri, il tutto innaffiato con abbondanti dosi di dramma, senza praticamente alcuno spazio per l’ironia o la leggerezza.

Tutto parte dal Southfork Ranch, un terreno che era già motivo di contesa ai tempi della vecchia serie, e che ora è la base di una nuova esplosione di odio intra-parentale, dopo anni di relativa tranquillità, in cui Bobby ha posseduto e gestito la proprietà e J.R. è finito all’ospizio. Detto che evidentemente non sono stati anni privi di eventi, visto che ci sono matrimoni saltati, fidanzate scambiate, figli adottivi che lottano da sempre con quelli legittimi, e tutta una serie di altri inghippi che consentono alla storia presente di rifarsi continuamente ad eventi di un passato più o meno recente, che arriva a mettere radici nello show originale e nella lotta infinita tra Bobby e J.R.

Evidentemente, gli autori di Dallas hanno un’idea precisa di quello che vogliono dal loro prodotto, e sanno come metterla in pratica: per ora, i complicati intrighi descritti al sole del Texas funzionano con precisione, le sorprese sono attentamente calibrate, e gli attori scelti (al di là delle vecchie glorie) vanno nella direzione classica della soap, piena di belloni e bellone alle prese con un irrimediabile (e ben giustificato) male di vivere.

Ovviamente, questa precisione è insieme la forza e la debolezza di una serie come Dallas. Chi ama questo genere di racconto troverà tutto ciò che cerca, sparato all’ennesima potenza, senza mezzi termini e senza deviazioni intellettualistiche da moderna-cable-che-vuole-essere-figa. Dallas è quella roba lì, piatta e semplice, prendere o lasciare.
Chi invece non ha mai apprezzato i drama molto soapposi e poco inclini all’ironia e all’invenzione, chi insomma ha sempre evitato i teen drama e non riesce manco a vedere Revenge, che almeno ha un po’ di mistero criminale, evidentemente non troverà nulla in Dallas che possa fargli cambiare idea. Anzi, forte del suo amore per i Mad Men e i Breaking Bad, è probabile che vorrà schernire e sbeffeggiare chi deciderà di farsi rapire dalle dolorose vicende degli Ewing, accusandoli di essere stupide casalingotte prive di reale gusto televisivo.
E anche questa è una faida che va avanti da sempre.

La notizia confortante, per i futuri fan, sta proprio negli ascolti: ottima performance della premiere, e la consapevolezza che una rete cable come TNT ha più gioco a tenere viva una serie rispetto a una tv generalista, che ai primi segnali di cedimento comincia subito a pensare alla cancellazione.

Perché seguirla: vi piacciono i drama intricatissimi, le saghe familiari piene di tradimenti e inganni. Ah beh, ovviamente anche se vi è piaciuta la serie originale, ma in quel caso forse non state leggendo questo blog.

Perché mollarla: probabilmente non aggiungerà nulla al genere in cui si inserisce, e se quel genere “non vi piace”, allora Dallas “la odierete”.

PS Un applauso vero va fatto alla sigla. Non perché sia bella. Anzi, è orrenda. Ma è clamorosamente simile a quella della vecchia serie. E a noi piace, che siamo citazionisti.

Ecco la nuova:

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Ed ecco la vecchia:
Cazzarola, non riesco a incorporarla, beccatevi il LINK!
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