NYC 22 – Un bel crime atipico non fa mai male di Marco Villa
Piccoli The Wire potrebbero crescere
Dice il Castelli: “Mi sa che NYC 22 è meglio che lo faccia tu, perché a quanto pare non si può più parlare di crime se non si è visto The Wire“. Esagerato. Però un po’ è vero. Ultrasemplificando, si può dire che sono due le serie degli anni zero che hanno ridefinito i canoni. Una è Lost, l’altra The Wire. Con il vantaggio che The Wire non ha mangiato i suoi figli. Ovvero non ha provocato la nascita dell’odiosissima etichetta “l’erede di”, che invece sta falcidiando ormai da anni serie su serie che ricordano anche solo vagamente Lost.
Per questo, si può tranquillamente guardare NYC 22 e trovare dei richiami al capolavoro di David Simon, senza però tirare in ballo alberi genealogici e testamenti. Per questo, si può tranquillamente dire che quello di NYC 22 è un gran bel pilot. Punto, senza confronti. Vuoi mettere l’agilità e la serenità?
NYC 22 è una serie che ha esordito il 15 aprile su CBS. Creata da Richard Price (e tra i produttori c’è Robert De Niro), scrittore con più di una esperienza nel cinema (cosceneggiatore di Clockers di Spike Lee, tratto da un suo libro), racconta le storie di sei reclute della polizia di New York. Novellini che, nel pilot, affrontano il loro primo giorno con la divisa. C’è la ragazza bionda affetta da figadilegnismo ed ex-marine, il giornalista licenziato ed ex alcolista, il giocatore di basket professionista che ha buttato al vento la propria carriera, il ragazzo pachistano che vuole disperatamente americanizzarsi, la ragazza dei quartieri disagiati e il più classico dei poliziotti per tradizione familiare. Oh, dopo 24 ore me li ricordo ancora tutti: vuol dire che, per quanto per ora poco approfonditi, i personaggi hanno un loro senso e potranno solo migliorare.
L’elemento più interessante di NYC 22 è però come vengono usate queste reclute. Nel primo episodio, infatti, NYC 22 è un crime senza indagini: nell’arco dei primi 42 minuti non assistiamo al classico schemino morte-indagine-risoluzione. L’episodio, al contrario, racconta situazioni che richiedono un approfondimento maggiore, necessariamente da spalmare su varie puntate. O almeno così si spera.
Una situazione su tutte: lo scontro tra gang, un classico già visto più volte in The Shield e sempre interessante, qui portato a un livello ulteriore e nuovo. Di solito, infatti, siamo abituati a seguire indagini da parte di detective e ufficiali, che vanno a parlare con i membri delle gang in determinate circostanze, oppure si affidano ad agenti che stanno sul territorio e conoscono bene la situazione. Ecco, NYC 22 parla proprio di quegli agenti sul territorio, tagliando fuori i classici detective: in questo senso, pur essendo lontanissima per stile e impostazione, ricorda The Corner, altro lavoro di David Simon, già dal titolo programmatico riguardo il suo essere territoriale e di cui sinceramente per ora ho visto solo il pilot, perché di una tensione drammatica distruttiva. Come The Corner, NYC 22 racconta un ambiente, un quartiere, partendo dalle strade. E per questo motivo pare molto azzeccata la scelta, piuttosto evidente nel primo episodio, di affibbiare a ognuno dei protagonisti in divisa un soprannome, così come accade nelle gang, a dire che in fondo anche la polizia altro non è che un gruppo che lotta con gli altri per un obiettivo. In questo caso, l’obiettivo è ovviamente l’ordine pubblico. Giusto per buttare dentro un altro riferimento, non siamo lontanissimi da Southland, anche se l’impressione è che qui la parte di indagine sia meno centrale.
Altro elemento di interesse è la scelta di volti diversi dal solito. Non ci sono attori palestrati o dei gran belli. Anzi, un paio sono proprio brutti. Anche la stessa biondina ex marine, non è certo la pin up tette in fuori, ma piuttosto un corpo che potrebbe stare bene in qualche film francese sul disaggio delle periferie.
Insomma, la faccenda l’avete capita. NYC 22 è un crime perché ci sono poliziotti e criminali. Ma lì si ferma, perché la sensazione è quella di una serie più incentrata sulla maturazione dei singoli personaggi che non su un’impostazione ferrea da procedurale. Un po’ come The Wire, insomma. E volete mettere la serenità di non dover dire se ne sia o meno l’erede?
Perché seguirlo: per scelte di ambientazione e casting vincente. E perché un crime che non punta tutto sul procedurale è sempre da premiare
Perché mollarlo: perché per voi l’ideale di serie crime è Hawaii Five-O