13 Aprile 2012 9 commenti

Don’t Trust The Bitch in Apartment 23 – Il grande ritorno di James Van… di Dawson! di Diego Castelli

Risate, cattiveria, e un clamoroso colpo di genio!

Copertina, Olimpo, Pilot

Finalmente ci siamo.
Undici. Fottutissimi. Mesi.
Tanto ho aspettato per questo debutto, dopo averne sentito parlare per la prima volta. E le aspettative sono state ampiamente ripagate.

Don’t Trust the B—- in Apartment 23 è l’ultima comedy di ABC, di cui si parlicchiava già nel 2009 (senza che io me ne accorgessi), ma che solo ora ha raggiunto gli schermi americani.

Protagonista è June (Dreama Walker), ragazza di provincia, genitori apprensivi e studi impeccabili, che va a New York come neoassunta in una importante compagnia. Peccato che detta compagnia imploda per uno scandalo finanziario, lasciando la poverina senza lavoro e senza casa. Unica soluzione per June, che non vuole confessare il fallimento a mamma e papà, è arrangiarsi un po’, cominciando col trovare una coinquilina per abbattere le spese. Finisce così a casa di Chloe (la ben nota e ben gnocca Krysten Ritter), che sembra tanto simpatica e disponibile, ma che presto si rivela essere una specie di folle sociopatica senza alcun principio morale, dedita al furto, ai raggiri, al sesso selvaggio, all’alcol e alle pillole.
Come potete immaginare, i due mondi si scontrano e si scontreranno, facendoci scoprire che la ragazzina timidina non è poi così timidina, e che la stronza totale sa mostrare ha anche un (nascosto e distorto) lato umano.

Ok, pausa. Fin qui il concept è abbastanza normale. Si sente anzi un certo sapore di già visto: vengono subito in mente New Girl e 2 Broke Girls, tanto per restare su serie recenti.
In realtà, e per fortuna, Apartment 23 ha una sua anima molto precisa, perché il personaggio di Chloe (di fatto la vera protagonista dello show) ha davvero tanto da dare: la sua cattiveria e mancanza di etica la rendono una mina vagante pronta a deflagrare in situazioni comiche di grande impatto. Nel suo genere – un genere oscuro e malvagio che nessuno vorrebbe mai incontrare dal vivo – Chloe ha le carte in regola per diventare un personaggio d’antologia come Sheldon, Abed o Schmidt, personaggi talmente caricati da essere fondamentalmente indimenticabili.
Molto fanno anche i buoni comprimari, tra cui Eli, il vicino di casa pervertito; Robin, la condomina asiatica che vede in Chloe un’incarnazione del demonio (ma senza riuscire a non subirne il fascino perverso); Mark, che doveva essere il capo di June nell’ormai defunta azienda, e che ora lavora in un bar.

Insomma, fin qui sarebbe una buona, a tratti ottima comedy. Magari non proprio rivoluzionaria, ma meritevole di grande attenzione.

Ma il bello è che non è finita qui. C’è la ciliegina. Più che ciliegia, un cocomero.
Perché ancora non abbiamo parlato di LUI.

A un certo punto fa la sua comparsa il migliore amico di Chloe. Ed è James Van Der Beek.
Non nel senso dell’”attore che faceva Dawson”, e che ora interpreta un altro personaggio.
No, è James Van der Beek che fa James Van Der Beek. O per lo meno una versione scazzata e un po’ cattiva di sé stesso.
E’ la svolta vera.

Parliamo per un attimo del Van Der Beek “reale”. Attore principale di uno dei telefilm per teenager più importanti degli ultimi vent’anni, il buon James era sì il protagonista, ma anche il personaggio meno apprezzato. Come se non bastasse, i suoi colleghi hanno fatto più carriera di lui: Michelle Williams aspetta solo l’occasione buona per vincere un oscar, Joshua Jackson è passato da un personaggio di culto (Pacey) a un altro (Peter Bishop), Katie Holmes ha fatto un po’ di cinema importante e ha messo su famiglia con Tom Cruise (che per certi versi non è proprio “fare carriera”, ma vabbe’). Lui, il povero James, ha fatto qualche film che non s’è cagato nessuno, e per il resto si è visto poco. Ce n’era abbastanza per fare di lui un non-più-vip alcolizzato pronto per Ballando con le stelle.

Invece no. In questi ultimi anni, l’ex biondino complessato ha lavorato in modo sorprendentemente autoironico sul suo ruolo di star dei teen drama, spargendo per internet foto, gif, e video in cui si prende allegramente per i fondelli, giocando con i suoi fan ma anche con quelli che suoi estimatori non sono mai stati.

Di questo apprezzabilissimo percorso – per il quale, va detto, ci vuole un certo fegato – Apartment 23 è il capolavoro finale. In tutto il pilot le citazioni si sprecano (occhio, spoilerini): una volta parte la sigla di Dawson’s a caso (Aidooouuuonnaueeeeiii), un’altra volta June la canta per impressionare James (che ovviamente non gradisce), in un’altra occasione ancora Mark vede Van Der Beek e lo chiama direttamente “Dawson”, per non sbagliare.
Più in generale, il fu aspirante regista si traveste da attore in parabola discendente, sempre a caccia di nuove parti ma ormai fuori dal giro che conta, perennemente oppresso dal marchio “Dawson Leery”, ma non per questo disposto a rinunciare ai piaceri da star.

La genialata sta proprio qui: di ironia su Dawson’s Creek se n’è già vista tanta, ma quando quell’ironia viene creata dallo stesso protagonista dell’oggetto comico, be’, fa un effetto ben diverso. Non è nemmeno semplice da spiegare: è come avere una guest star perenne, come se potessimo scherzare su Dawson’s Creek a un livello completamento nuovo, e a lungo, non solo in una brevissima parentesi dentro uno show alla 30 Rock. Anche il paragone con altre situazioni simili, come l’Adam West in Family Guy o il Matt LeBlanc di Episodes, sembra poco calzante: LeBlanc, per quanto facesse l’idiota nella sua vecchia sitcom, non è stato preso in giro per anni, persino con cattiveria, e comunque partiva da un prodotto già di per sé comico. James Van Der Beek no: lui nasce in uno show serio, serissimo, che è stato oggetto contemporaneamente di passione quasi religiosa e ludibrio pressoché costante.
Insomma, che diamine, è Dawson’s Creek: è tutta un’altra faccenda.

Ovviamente, questa specifica componente – quasi una comedy dentro la comedy – è pienamente apprezzabile solo dai vecchi fan di Dawson’s Creek, o comunque da quelli che sanno bene di cosa stiamo parlando. Per costoro, credo molti di voi, Apartment 23 è IMPRESCINDIBILE.
Per chi invece non si è mai neanche lontanamente avvicinato a Capeside, sappiate che la serie potrà offrirvi comunque del robusto divertimento. Anche se magari non bramerete il prossimo episodio come lo sto bramando io ora.

A conti fatti, c’è un solo dubbio, e un solo difetto: il dubbio è che i riferimenti a Dawson’s, così ficcanti nel pilot, possano diventare più loffi col passare degli episodi, a meno di trovare modi diversi e originali di metterli in scena. Soprattutto, quel discorso della “comedy nella comedy” ha comportato un certo distacco tra le gag riguardanti James Van Der Beek e il resto della narrazione. In futuro occorrerà amalgamere meglio i due aspetti.
Il difetto sta invece nel nome: “Don’t trust the B—- in Apartment 23” è un titolo ridicolmente lungo, che non verrà mai usato da nessuno (la chiameranno tutti “Apartment 23”) e di cui non si capisce la funzione. Se non quella di obbligarmi a contare i trattini da mettere dopo la B di “Bitch”. Ma vabbe’, ce ne faremo una ragione…


Perché seguirla
: James Van Der Beek che fa sé stesso e prende in giro Dawson. Solo per questo vanno pre-ordinati i cofanetti.
Perché mollarla: Dai, no, non lo so. Sul serio, sono troppo coinvolto emotivamente, scusate.
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