Alcatraz – La cancellazione di Marco Villa
Due gran belle puntate di Alcatraz. Ma gli ascolti continuano a essere bassi.
E così Alcatraz va avanti per la sua strada, entrando in doppia cifra con i due episodi trasmessi il 5 marzo. Due episodi tra i migliori visti finora, capaci di essere l’esempio lampante di cosa è e di cosa può diventare Alcatraz. Anzi, di cosa potrebbe diventare, visto che la serie corre forti rischi di essere cancellata. Non siamo noi a dirlo, ma gente che di ascolti se ne intende parecchio, ovvero quelli di Tvbythenumbers, che, nel loro consueto monitoraggio mettono Alcatraz nel gruppone di Fringe, ovvero dei telefilm a un passo dalla cancellazione. Per dire: Community al momento ha più speranze di tornare. Capito com’è la situazione?
I motivi per cui il pubblico non sta premiando Alcatraz possono essere molti. La scarsa abitudine di fronte a serie crime che rinunciano al cosiddetto whodunnit, che rinunciano, cioè, alla classica indagine in cui lo spettatore scopre il colpevole insieme ai poliziotti, per una in cui lo spettatore è spesso un passo avanti rispetto ai personaggi. Oppure la mancanza assoluta di tensione erotica nelle relazioni tra i protagonisti. Ancora: personaggi poco carismatici e incapaci di imporsi per davvero. O forse la maledizione di Lost. Vai a sapere.
Ma amen. Oggi qui si vuole parlare bene di Alcatraz, perché, come detto, gli episodi nove e dieci hanno fatto segnare un salto di qualità. Nel nono episodio grazie a uno schema diverso dal solito, per due caratteristiche di fondo. La prima è che i ricercati erano più di uno e questo non solo inseriva ulteriori dinamiche relazionali, ma permetteva soprattutto di approfondire le figure dei cattivi, non a caso i più spietati visti finora. Il secondo è che tutto si è svolto sull’isola. Alcatraz è rimasto ad Alcatraz, raddoppiando così il senso di inquietudine e vaga claustrofobia dato dai flashback. E poi il fatto che ci fosse sotto una rapina. E come ho già scritto in un’altra occasione, le rapine son belle a precindere.
Anche la decima puntata ha avuto i suoi punti di forza. Innanzitutto un altro ricercato spietato, per giunta con la faccia di Theo Rossi (Juice di Sons of Anarchy). E poi una spinta decisiva sul piano della narrazione orizzontale, con un inizio di spiegazione della faccenda delle trasfusioni di sangue. Certo, la sensazione è che questo fatto andrà valutato tra qualche puntata, perché potrebbe tranquillamente essere il salto dello squalo di Alcatraz. Per il momento, è senz’altro un qualcosa in più. E male non fa. Sempre nella decima, si è scesi maggiormente nel dettaglio del rapporto tra il direttore della prigione e il suo vice, due figure molto interessanti, ma fin qui usate solo per muovere le storie dei protagonisti delle singole puntate e mai in storyline dedicate.
Non si tratta di novità o cambiamenti epocali. In fondo sono elementi che erano già presenti dall’inizio della serie. La differenza è che qui sono stati affrontati più a fondo e soprattutto a un migliore livello qualitativo. Parlando delle serie di questi anni, ho scritto che Alcatraz potrebbe essere il giusto compromesso per la serialità degli anni dieci. Gli ascolti non mi danno ragione, la forza di queste puntate sì. Avanti così, finché dura