Inside Men – Perché le rapine sono belle a prescindere di Marco Villa
Tanta, tanta, tanta, tantissima roba
Le rapine mi piacciono, parecchio. Mi piacciono nei libri, nei fumetti, nei film. Ovviamente anche nelle serie. Non sono un maniaco, nel senso che non mi vado a cercare tutti i prodotti del genere, né, a pensarci bene, ne ho letti/visti poi così tanti. Ma mi piacciono e sono sempre garrulo come un bimbino quando le incontro. Se poi non si tratta solo di rapine così, messe lì un po’ a caso, ma di rapine scritte e dirette alla grande, beh, si verifica della felicità. E non importa che nessuno abbia mai usato il sostantivo felicità con il verbo verificarsi. Quello che importa è che Inside Men è una serie davvero da non perdere.
Inside Men è un telefilm in quattro puntate, in onda dal 2 febbraio su BBC One. Racconta la storia di una rapina a un deposito di soldi, ovvero un magazzino iper-protetto in cui negozi e grandi catene depositano i propri incassi a fine giornata, prima di mandarli alle sedi centrali o alle banche. Il titolo già vi fa capire qual è il nodo della storia: nella rapina sono invischiati alcuni dipendenti del deposito. In particolare, l’attenzione si concentra su tre di essi: il direttore, un semplice impiegato e una guardia giurata. Il tutto raccontato con una struttura giocata sui flashback, con il tempo presente dell’esecuzione della rapina, e il passato della sua organizzazione.
Certo non una novità, anzi: la sospensione dell’azione al momento di massima suspense e il riavvolgimento del nastro è uno schema visto migliaia di volte in questi anni, oltre a essere un vero e proprio marchio di fabbrica di una serie seminale come Alias. Quello che rende diversa Inside Men da tante serie che hanno usato questo stratagemma è il fatto che non viene sfruttato solo per giocare con la manopolina della tensione, ma per dare identità continuamente diverse ai personaggi principali.
Nel corso del pilot, infatti, i tre protagonisti citati in precedenza si scambiano in continuazione ruoli e posizioni, passando da vittime a colpevoli nel giro di poche battute. Semplicemente, non si sa chi si ha davanti: ogni personaggio cambia faccia, personalità e rapporto con il pubblico in continuazione. Nell’arco della prima puntata, di fatto, vengono raccontate tre storie differenti, i cui protagonisti hanno le stesse facce, ma mai lo stesso ruolo. Roba che in una serie statunitense avrebbe coperto forse un’intera stagione, mentre qui viene compressa in 58 minuti che più densi di così esploderebbero.
Quello che ne deriva è da una parte la presenza di personaggi che catturano da subito e si dimostrano profondi e mai scontati, dall’altra la consapevolezza di essere all’interno di una serie che è in grado di farti girare come una trottola a suo piacimento. La sua vera forza è la capacità di farlo senza mai perdere un’onestà di fondo, visto che le svolte dei protagonisti non sono campate in aria, ma sempre più che motivate, se non addirittura comprensibili. Lo so, sono rimasto sul vago, ma spoilerare sarebbe veramente un delitto.
Metteteci dentro una regia precisa e una fotografia che, come spesso accade nelle serie inglesi, diventa determinante nel processo di creazione dell’immaginario (la fotografia fredda degli esterni e quella malata e da bunker degli interni), e il gioco è fatto. E poi si parla di una rapina. E le rapine sono una figata. A prescindere.
Perché seguirlo: perché ti mette in una puntata tutto quello che potrebbe starci in una stagione e lo fa con una naturalezza totale. E se non c’è del genio in questo, ditemi voi dove cercarlo. Forse nel Giovane Montalbano.
Perché mollarlo: perché non è una serie semplice e lineare. Chiede attenzione e lavoro allo spettatore. E voi faticate a stare attenti quando giocate a Indovina chi?