Megaupload e Megavideo chiusi – L’opinione di Serial Minds di La Redazione di Serial Minds
Tocca dire la nostra…
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Persino Serial Minds, alle volte, deve inchinarsi all’attualità che va oltre i telefilm. No, non parleremo di barche finite contro gli scogli, e nemmeno delle farmacie che aumentano. Il tema di questi giorni per noi gggiovani è uno solo: la chiusura di Megaupload e Megavideo.
La questione è enorme e potenzialmente complessissima, e non pretendiamo certo di averne una conoscenza piena. Né, tantomeno, sosteniamo di possedere verità ultime.
Ma in qualche modo sentiamo di dover dire qualcosa. Queste sono le nostre opinioni in merito.
Partiamo da un punto forse scomodo o indigesto, ma fondamentale. Il diritto d’autore è tutt’altro che una minchiata. È facile stare seduti davanti al computer inneggiando alla morte del copyright, in nome di una più libera circolazione della cultura. Ed è certamente vero che molti artisti (o aspiranti tali) trovano piacere a creare opere di ingegno sulla cui circolazione non mettono alcun tipo di vincolo (pensiamo a molti video di YouTube).
Ma è altrettanto vero che lo scrittore di un romanzo, il regista di un film, l’autore di una canzone, deve poter vedere tutelato il suo diritto a sfruttare la sua opera, senza il timore che qualcun altro ci lucri sopra senza aver chiesto alcun permesso e senza pagare alcun dazio. Ognuno di noi si incazzerebbe a morte se vedesse la propria opera, per la quale magari ha speso molto tempo e denaro, sfruttata commercialmente da qualcuno che semplicemente prende e vende, trovandosi così la pappa pronta, pappa che noi abbiamo cucinato.
La situazione attuale la conosciamo bene, ma è stupido pensare che possa durare per sempre. Se per la musica il cambiamento ha portato (e porterà sempre di più) al fatto che si guadagna più dai concerti che dai dischi, per cinema e televisione la faccenda è un po’ più complessa, perché non esistono altri modelli di fruizione di un’opera, se non quello di sedersi e guardarla. Per questo motivo, non bisogna credere a chi dice che se non si comprano dischi la musica finirà, perché semplicemente finirà questo sistema discografico a favore di qualcosa di diverso. Al contrario, non ha tutti i torti chi dice che se non si riesce a porre un argine alla pirateria audiovisiva, gli investimenti nel settore fatalmente caleranno: e un disco in cameretta lo puoi registrare, ma una puntata di Fringe ha bisogno di soldoni per essere scritta, girata, montata, post-prodotta. E ha bisogno di ancora più soldoni per essere fatta a un certo livello e non essere un clone paranormale di Don Matteo (sempre lui, maledetto), o una strana versione “alternate” in cui Peter Bishop è costretto a interrompere continuamente i dialoghi con Walter per sottolineare quando è buona la Coca Cola o il salamino Beretta.
Detto questo, qui non si fa certo i bacchettoni contro lo scaricamento, perché saremmo ridicoli, ma va preso atto che questa situazione di totale libertà non può durare per sempre, perché prima o poi si arriverà alla necessità di trovare un compromesso. Nel migliore dei mondi possibili, tale compromesso si potrebbe chiamare streaming a pagamento in tariffa flat, ad alta qualità, senza distinzioni tra mercati nazionali. Ovvero, semplificando: stasera va in onda in America, domani lo vedi in tutto il mondo. Sogno? Più o meno, ma quindici anni fa, quando trafficavate dietro a Napster avreste mai pensato di poter comprare canzoni a 99 cent, quando i singoli li vendevano nei negozi a 15mila lire? La sensazione è che ci sia bisogno di una rivoluzione vera, tipo quella – appunto – di iTunes Store per il mercato musicale. Del resto se ne parla da mesi: il prossimo grande scontro tra Apple e Google, con Amazon terzo incomodo pericolosissimo, è la tv, con la distribuzione di prodotti acquistati da altri e la creazione di contenuti originali. Soprattutto, è il momento di reintrodurre l’abitudine a pagare contenuti audiovisivi. Del resto, oltre 150 milioni di persone avevano sottoscritto abbonamenti premium di Megavideo e Megaupload: una dimostrazione che si è disponibili a sborsare qualche soldo per un servizio soddisfacente. Di per sé, un cambiamento importante.
Questa l’idea del futuro, ma torniamo al presente e a Megavideo. La faccenda è semplice: sapevamo tutti che non sarebbe potuto durare, o almeno lo sapevano quelli che hanno un minimo di cognizione della questione. Chi questa cognizione non la possiede ha una percezione necessariamente limitata, e in questo momento ha più che altro la sensazione di aver ricevuto una semplice sberla: niente più Megaupload e Megavideo, taglio netto a una fonte apparentemente inesauribile di contenuti in larga parte gratuiti. Ci si sente in qualche modo depredati, e si finisce col sorridere compiaciuti leggendo delle rappresaglie degli hacker che attaccano i siti del governo americano e delle major. Eppure noi utenti, che abbiamo il merito (consapevole o meno) di far parte di un movimento che sta cambiando profondamente pratiche culturali vecchie di decenni se non – è il caso del libro – di secoli, dobbiamo tenere a mente che i confini etici delle nostre azioni non sono modificabili a piacimento, in totale dipendenza del nostro personale punto di vista. Non fosse altro perché, al contrario del più classico file sharing, sorta di evoluzione tecnologica dell’amico che ti passa la musicassetta registrata dalla radio, con Megavideo eravamo di fronte a un’organizzazione tutt’altro che amatoriale e ingenua, che ha portato il suo fondatore ad accumulare una vera e propria fortuna. Denaro sonante, non cd impolverati con sopra qualche vecchio film da conservare, col titolo scritto a pennarello. Denaro che proviene da contenuti creati e posseduti da altri. A cui girano legittimamente i coglioni. Non siamo lontani dalle camorre varie che masterizzano migliaia di cd e dvd che, siamo piuttosto sicuri, non comprereste mai dall’extracomunitario nei sottopassi della metropolitana. Quindi evitiamoci almeno la brutta figura di sbattere i piedi e gridare vergogna per la sottrazione di un fantomatico diritto inalienabile che, in realtà, avevamo semplicemente deciso di possedere, e non rendiamo paladini della libera circolazione delle idee persone che, al contrario di tanti in passato, hanno messo in piedi una vera e propria associazione a delinquere (si parla anche di riciclaggio di denaro sporco). Associazione a delinquere asettica e moderna, ma comunque tale.
Certo, resta un grande rammarico: pensare all’immenso archivio dei Mega server reso inaccessibile fa impressione. Pensiamo di non sbagliare se diciamo che una risorsa di quelle dimensioni non è mai esistita nella storia dell’audiovisivo. E perderla fa un po’ male, anche se non poteva che finire così ed era giusto che finisse così.