Californication 5 – Inizio moscio di Diego Castelli
Il passo falso di chi gira in tondo
NON LEGGETE SE NON AVETE ANCORA VISTO IL PRIMO EPISODIO DELLA QUINTA STAGIONE
E’ ricominciato Californication.
E voi direte: cazzo che bella introduzione, ti sei impegnato di brutto.
Ecco, non mi sono impegnato più di tanto perché quella frase esprime abbastanza bene un certo disagio che ha serpeggiato persino in me, fan della prima ora di Hank Moody.
Californication è un grande telefilm. Una serie che al primo impatto si rivelò fresca, vitale, coraggiosa. Con un protagonista praticamente perfetto: fascinoso, ironico, divertente, ma anche segnato da ferite profonde e grandi amarezze, che davano lo spessore necessario a un personaggio che altrimenti sarebbe risultato un semplice clown ninfomane.
Ebbene, in molti sostengono che Californication sarebbe dovuto finire con la prima stagione, rimanendo una perla luccicante e unica, con un finale forse troppo consolatorio, ma allo stesso tempo galvanizzante per tutti i estimatori.
Io ovviamente non sono di questo partito, sono uno che d’istinto farebbe durare per sempre le serie che gli piacciono, e mi sono pienamente goduto le stagioni successive alla prima. Tanto è vero che ho molto elogiato il finale dello scorso anno, divertente ma soprattutto denso di riflessioni e sensazioni e ottime idee visive.
Sarebbe tuttavia sbagliato non ammettere che c’è stato un calo complessivo, peraltro inevitabile: il ripetersi di certe situazioni, l’insistenza su tematiche che bene o male finiscono con l’essere sempre le stesse, la ricerca ostinata di immagini e parole sempre più “forti” (fino al grottesco), hanno appesantito il racconto, rendendolo di volta in volta meno innovativo e impattante.
La base stessa della serie, cioè il rapporto di Hank con la ex moglie e con la figlia, è sempre stato talmente importante da essere costrittivo: un Moody che non pensi ossessivamente a come farsi amare dalle sue due donne preferite, semplicemente è un non-Moody.
Da questo punto di vista, il primo episodio della quinta stagione rappresenta un punto sorprendentemente basso di questa discesa.
E mi sembra strano usare termini come “punto sorprendentemente basso”, parlando di una puntata che, malgrado tutto, si segue volentieri dall’inizio alla fine, ridandoci il personaggio che conosciamo e amiamo alla follia.
Il problema è che in tutto l’episodio non succede praticamente nulla. La stagione 4 era terminata in modo splendido e assai definitivo, tanto che mi era venuto spontaneo usare termini come “quadratura”, e “vero finale”. Tanti nodi era venuti al pettine, e Hank se n’era andato guidando verso il tramonto. Da che mondo è mondo, quando uno guida/cavalca verso il tramonto il film è finito!
Invece, dopo essere tornato per un paio d’anni sulla costa est, Hank torna nuovamente a Los Angeles e ritrova i compagni di sermpre: l’amico Charlie, ora padre di un bambino carino, simpatico e ancora muto (e non parlereste neanche voi, se vi trovaste ogni due minuti in una stanza con vostra madre che se la fa leccare dal vostro patrigno); la piccola e arrapata Marcy, sempre insieme a quella specie di gorilla bianchiccio di Stu; ma soprattutto la ex moglie Karen e la figlia Becca, ora fidanzata a un ragazzaccio che ricorda l’Hank Moody dei bei tempi che furono (da notare, peraltro, che l’attore che lo interpreta è Scott Michael Foster, tra i protagonisti di Greek).
Se non consideriamo la tizia strafiga che Hank si slinguazza in aereo – guarda caso è la donna del rapper-attore-star per cui Hank dovrebbe scrivere una sceneggiatura, sai che novità… – e il fatto che il ragazzo di Becca potrebbe dare qualche soddisfazione nel suo rapporto col nostro protagonista, non c’è nient’altro. Cioè, non c’è alcun suggerimento che quest’anno vedremo cose diverse dal solito, novità sorprendenti o chissà quale risvolto narrativo. Hank si farà mezzo mondo, ma sempre pensando a Karen e Becca, le deluderà più di una volta salvo poi fargli gli occhioni da cucciolo realmente pentito, ci saranno scene di sesso possibilmente bizzarro.
Poi avremo scazzi di ogni tipo tra Hank e chi gli dà lavoro, tentativi di Charlie di tenere insieme la sua vita da agente con le voglie sessuali da adolescente e la necessità di essere un buon padre, battute sagaci e forse qualche bella scazzottata. In realtà potrebbero succedere cose ben più eclatanti di queste, ma questo primo episodio, di certo, non lo suggerisce.
E qui faccio una pausa di riflessione. Perché è evidente che questo tipo di critica potrebbe essere fatta a qualunque prodotto seriale: sono anni che House prende per il culo i pazienti e gli amici; sono anni che le casalinghe disperate trovano il modo di incasinarsi la vita tra misteri, tradimenti e pettegolezzi; sono anni che Sheldon Cooper fa lo scienziato pazzoide e completamente fuori dal mondo.
Ma qui non si mette in discussione la ripetitività delle strutture narrative di un telefilm, che sono alla base, appunto, del suo essere seriale. Il problema è quando, dopo un finale potente come quello dell’anno scorso, si pretende di ricominciare quasi da capo come se nulla fosse successo: è qui che la ripetitività, invece di essere la base rassicurante per racconti sempre nuovi e sviluppi inaspettati, emerge da dietro le quinte e diventa troppo evidente, troppo palese, col rischio di lasciare in ombra le buone idee che comunque possono essere presenti.
Questa mi pare la situazione attuale di Californication: una serie ancora piacevole e divertente, ma che comincia a trasmettere la sgradevole sensazione di non stare andando da nessuna parte. Sentiamo il bisogno che Hank Moody trovi una qualche forma di pace, felice o tragica che sia. E invece siamo ancora una volta costretti a ricominciare da capo un percorso che ci sembra di aver già fatto.
Si dice sempre che il viaggio è più importante della destinazione. Vero, ma se il viaggio è troppo lungo cominciano pure a far male le gambe.
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E così vi ho dato anche una specie di finta saggezza popolare che rappresenta senza dubbio la più brutta chiusura di post che io abbia mai scritto.
Sono fottutissime soddisfazioni.
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