Boss – Standing ovation per il primo episodio di Marco Villa
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Negli ultimi anni di serie belle ce ne sono tante e pure di serie bellissime ce ne sono state un po’. Certo, che una serie appartenga a una di queste categorie è cosa che si può dire solo dopo un po’ di episodi, se non addirittura al termine della prima stagione. Però siamo sinceri: dopo la prima puntata di Breaking Bad si era già lì a esultare come Tardelli. Idem per The Killing, sempre per restare in casa AMC. Ecco, per quanto mi riguarda Boss parte ancora meglio delle due serie citate. Insomma, non è roba da poco. E poi la regia è di Gus Van Sant. E dai, su.
Boss è una serie creata da Farhad Safinia e in onda dal 21 ottobre sul canale via cavo Starz. Racconta la storia di Tom Kane, sindaco di Chicago che deve governare una città complicata, cercando di far combaciare tutti gli aspetti che caratterizzano la vita cittadina. Problemi amministrativi, intrighi politici e – per non farsi mancare nulla – rapporti con la malavita. Più una malattia degenerativa stile Alzheimer, che gli toglierà l’autosufficienza nell’arco di poco tempo.
Per tutti questi motivi, Boss non è certo una serie per tutti. Si tratta infatti di un telefilm vasto e complesso, che unisce storyline a loro volta vaste e complesse. Volendo usare il prontuario delle frasi fatte, si potrebbe parlare di affresco, ampio respiro, grande ritratto. Ci interessa poco, quello che conta è che tutte queste caratteristiche sono mischiate alla perfezione. Il primo episodio riesce a presentare tante storie e sottotrame, senza mai indulgere nello spiegone e ha il coraggio di mettere in mostra un protagonista che sa essere animale politico affascinante, ma che non si fa scrupoli a ordinare alla mafietta locale la punizione fisica di chi sbaglia. E ancora: il profilarsi di comprimari in grado di dare grandi soddisfazioni, come quello dell’assistente di Kane (si, è Kathleen Robertson, sì, è Clare del Beverly Hills originale, sì, è davvero gnocca) e quello del giovane rampante, nei quali la salute sprizza da ogni poro, come a sbattere in faccia al sindaco malato che il futuro gli sta già passando davanti.
Se la scrittura è ottima, non parliamo della regia, curata nel primo episodio da Gus Van Sant. Nei 58 minuti il suo sguardo si vede nella centralità di corpi e volti. Soprattutto nella prima parte, la camera resta incollata alle facce dei personaggi, allargando solo di poco l’inquadratura. Ciò che ne deriva è un primo episodio che, pur mettendo tanta carne al fuoco, riesce a mantenere centrali i personaggi rispetto alla narrazione. Nota di merito per la regia della scena di sesso, ineccepibile e del tutto in linea con le caratteristiche dei personaggi coinvolti. E nota di merito, infine, per l’interpretazione di Kelsey Grammer: è sufficiente la prima sequenza per mollargli lì una nomination a qualcosa.
La sensazione, insomma, è di trovarsi davanti a una di quelle serie che possono davvero fare la differenza. Una di quelle serie che possono rimanere e segnare qualcosa di importante. Sto esagerando? Date uno sguardo al primo episodio e capirete che entusiasmo e aspettative sono del tutto giustificati. È la serie più ambiziosa partita quest’anno. Tra qualche episodio potremo dire se è anche la migliore.
Previsioni per il futuro: un racconto largo e pieno di sottotrame, che avanzerà senza fretta e con grande attenzione ai personaggi
Perché seguirlo: perché le premesse sono quelle di una serie enorme
Perché mollarlo: perché, come detto, è serie complessa e non per tutti.
P.S. Calcolate che dopo questa prelibatezza mi sono guardato Once Upon A Time. Mamma mia.