Homeland – Un cast stellare per spie e terroristi assortiti di Marco Villa
Su, diciamolo: per ora
Homeland è il titolo anglossasone di Heimat, mia ossessione e oggetto di devozione ai limiti del feticismo. Fine, per contratto dovevo dirlo e allora meglio farlo subito e togliersi il pensiero. Perché ovviamente il mediometraggio di Edgar Reitz nulla c’entra con questa serie, che ha esordito il 2 ottobre su Showtime, raccogliendo applausi a scena aperta dalla critica e il miglior risultato d’ascolto dell’emittente per un pilot. E convincendo anche Serial Minds, che è la cosa più importante.
Homeland è la storia di un’agente CIA un po’ ribelle, convinta che un militare – tornato in patria dopo otto anni di prigionia in Iraq – non sia l’eroe che tutti acclamano, ma uno sporco traditore passato al nemico. Ovviamente nessuno le crede e dovrà sudare camicie e camicie per cercare di farsi valere.
Il primo episodio è praticamente un manuale del perfetto pilot: si rivelano storie, si spiegano dettagli, si incuriosisce lo spettatore. Mai una parola di troppo, mai uno spiegone in eccesso, ma nemmeno tanta fuffa per creare un’aria di sintomatico mistero. I personaggi sono tratteggiati in modo semplice ma mai univoco: come da tradizione, tutti hanno i loro problemucci, ma nessuna angoscia viene tagliata con l’accetta. La sensazione, anzi, è quella di una serie che scaverà sempre più a fondo nella psicologia dei protagonisti, su tutti l’agente CIA Carrie Mathison e l’eroe di guerra Nicholas Brody, entrambi doppi e attraversati da un senso di mancanza di verità: Carrie è da sempre in cura con farmaci antipsicotici (dove finisce la realtà e dove inizia la paranoia?), Brody ha una faccia pubblica da americano perfetto e un volto privato da potenziale terrorista. Splendida, poi, la scena con la quale – dopo l’intro irachena – viene presentata Carrie: pochi gesti di un significato enorme.
Per dare qualche riferimento, non siamo lontani dalle tematiche di Rubicon, ma ne siamo invece molto distanti in termini di stile narrativo. Come da tradizione Showtime, Homeland è serie di qualità e di ritmo: scordatevi le lentezze delle ultime – pur bellissime – produzioni di AMC o HBO. Qui le cose succedono e con una frequenza maggiore di tre per stagione, nonostante l’impianto sembri del tutto simile a quei telefilm, con una netta prevalenza di trame orizzontali che attraversano i singoli episodi.
Ulteriore punto a favore è un cast stellare. La protagonista è interpretata da Claire Danes, il soldato è Damian Lewis (già visto nel più che interessante Life, nella parte di un poliziotto che ha passato ingiustamente dodici anni in carcere. Specializzato in personaggi che tornano a casa?), la moglie del soldato è Morena Baccarin (anzi, Morena Baccarin nuda, così puntiamo sul SEO. E comunque è la bellissima tizia di V). Il plus è poi dato da un semi-irriconoscibile Mandy Patinkin, ovvero il Gideon delle prime due stagioni di Criminal Minds.
La sfida più grande sarà quella di trasformare un soggetto potenzialmente perfetto per un film in qualcosa di eccellente anche per un telefilm. Rubicon riuscì nell’intento, portando all’estremo il minimalismo e la rinuncia a svolte narrative, ma pagò sul piano degli ascolti e subì un’immeritata cancellazione. L’auspicio è che Homeland trovi equilibri migliori tra qualità autorale e fruibilità. In caso, sarebbe una bomba. Perché se parlando di Prime Suspect ci si chiedeva quale pilot avrebbe sbaragliato la concorrenza, ora una risposta la si può dare. Al momento, il killer pilot è Homeland.
Previsioni sul futuro: una sfida psicologica continua, in cui verità e menzogna si cambiano in continuazione di posto (sì, lo so, potrebbe essere una trama da Famiglia Cristiana)
Perché seguirlo: perché il pilot ha tutto al posto giusto e le premesse sono quelle di una serie di alta qualità e bassa noia
Perché mollarlo: perché voi dopo quaranta minuti volete sapere chi è l’assassino. Punto.