Up All Night di Marco Villa
Tipo le fiction italiane sulle famiglia, ma fatta bene
Dice l’amico E.B., fresco genitore: «Tu non hai idea, non hai idea proprio». Di come ti cambi la vita avere della prole di recente nascita in casa. No, l’idea non ce l’ho minimamente. Ma se un padre fatica a spiegare cosa voglia dire, immagino come possa essere semplice raccontare in modo originale ed efficace quelle stesse sensazioni in una serie televisiva.
Up All Night è proprio questo: il racconto dei cambiamenti vissuti da una coppia dopo la nascita di una bambina. Protagonisti sono Christina Applegate (Samantha Who?) e Will Arnett (Arrested Development, nonché marito di Amy Poehler): lei autrice televisiva di grande successo, lui avvocato con un passato da sportivo. Alla nascita della bimba, lei torna a lavorare, lui resta a casa a occuparsi della pargola.
Direte: adesso qualcuno rapisce la bambina e loro si scatenano come e meglio dei coniugi di Undercovers. No. Allora i due vanno in crisi e iniziano a frequentare la sessuologa come in Tell Me You Love Me. No. E niente che riguardi trame complicate o invenzioni di sceneggiatura. Semplicemente, Up All Night racconta il cambiamento di una coppia che passa dallo stare in piedi tutta la notte – perché divisa tra le feste più diverse, allo stare in piedi tutta la notte perché la bimbina piange. Fine. Normalità allo stato puro. Più o meno, perché i due sono ovviamente più idioti che sani. Lei per via di una capa totalmente fuori dal mondo, lui per il fatto di trovarsi tutto il giorno a casa da solo e per l’incapacità di badare alle faccende quotidiane (splendida la scena al supermercato, dove viene terrorizzato da una sciura che gli si avvicina con il più colloquiale – e quindi minaccioso – dei sorrisi sciureschi).
Non pensiate quindi di trovarvi di fronte a una serie che sta lì tutto il tempo a dire «Mio dio, che grande dono la m/paternità! Stolti voi che non procreate non appena siete abili alla riproduzione!». No, niente di tutto questo. Nei ventidue minuti del pilot, la bimba sarà nell’inquadratura al massimo per cinque e mai come centro dell’azione. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono i genitori, lei è solo l’espediente che mette in moto tutto, ma della sua esistenza ce ne freghiamo altamente. E per fortuna, perché altrimenti la serie sarebbe interessata solo all’affascinante Giovanardi (non l’ex dei La Crus, eh).
Up All Night è tutto qui: la semplicità è il suo punto di forza, ma, come nella migliore delle tradizioni, rischia anche di esserne il punto debole. Perché sì, nel pilot si sorride delle cazzate che fanno i due, ma il tono e la scrittura sono talmente leggeri da rischiare di cadere in poco tempo nell’inconsistenza. Proprio la mancanza di una trama forte, infatti, potrebbe portare a un insieme di scenette o poco più. Grazie a un cast molto valido (i due più la capa di lei, ovvero Maya Rudolph, ovvero Saturday Night Live, ovvero la scuola che sta colonizzando con ottimi risultati il mondo comedy) e a ottimi equilibri, il pilot tiene e tiene decisamente bene. Ed è già qualcosa. La serie è iniziata il 14 settembre su NBC, con ottimi risultati d’ascolto.
Previsioni sul futuro: una spirale di idiozia neonatale e qualche mini litigata per i ruoli da tenere nella gestione della nuova arrivata in famiglia. Più qualche follia estemporanea.
Perché seguirlo: perché toni e scrittura sembrano molto curati e il cast vince a mani basse.
Perché mollarlo: perché le serie a sfondo famigliare non sono per voi o perché, come l’amico E.B., la vostra Up All Night l’avete in casa.