Il paradosso di Wilfred di Diego Castelli
Che i telefilm restino telefilm!
L’altro giorno guardavo Wilfred, adorabile e volgarissimo cagnolone con la barba, e improvvisamente sono stato raggiunto da una consapevolezza, palesemente contrastante con alcuni facili entusiasmi giovanili.
Quando il serialminder è ancora adolescente, ci mette poco a formulare un semplice pensiero: che bello se la vita fosse come nei telefilm.
Desiderio legittimo, miei ingenui pargoli, che le nostre serie sottilmente suggeriscono. Che bello sarebbe avere per amica una tizia bionda fortissima che uccide i vampiri. Che bello abitare in una cittadina di campagna e avere dei superpoteri. Che bello portare il bambino dal pediatra e trovarci George Clooney invece che un qualunque tizio con i peli a treccia nel naso. Per non parlare degli avvocati di talento che ti fanno venire voglia di commettere un crimine solo per vederli all’opera, o di bagnine e guardaspiaggia per i quali il rischio di annegamento è il giusto prezzo da pagare per vedere da vicino una tetta avvolta nel rosso adamitico.
E i teenager, poi, vedono da sempre la vita di Dawson e Brandon e Seth come una specie di modello, non tanto perché quelli abbiano problemi diversi (hanno comunque a che fare coi genitori spaccaballe, le sorelle oche, la scuola ecc), ma perché almeno possono gestirli in California, sul surf, o anche in un paesello come Capeside, che sarà campagnolo ma cazzarola quanto dev’essere bello viverci. Ebbene, la questione non è che la vita reale è diversa da quella dei telefilm. Già lo sappiamo, ce l’ha spiegato bene pure la Vitali, mesi fa.
Quello che qui voglio dire, a voi giovani menti ancora inebriate dall’atmosfera dei Gossip Girl e dei Supernatural, che in fondo è una dannatissima figata che la vita non sia come nei telefilm.
Dura da mandare giù, lo so. Ma le prove sono sotto i nostri occhi, anche se di solito non le vogliamo vedere.
L’illuminazione viene da Wilfred, che è serie saggia a più livelli. A vederlo potresti pensare che avere un cane parlante sia figo, perché sei figlio unico, porti gli occhiali e i bulli ti rubano la merenda. In realtà, Wilfred è volgare, si bea delle sue flatulenze, e aggiunge al normale entusiasmo canino la fastidiosa consapevolezza di essere un rompicoglioni. Se non sei un depresso aspirante suicida come Ryan-Elija Wood, tanto vale prendersi un normale cocker e via.
Ma mettiamo che devi andare all’ospedale. Nella vita capita, no? Ecco, magari ti piacerebbe conoscere House. Che storia! Ma a pensarci bene, se hai una malattia comune ti tratta da schifo e ti prende per il culo, probabilmente scoprendo di te cose che non vorresti far sapere in giro. E se appena sei più grave ti riempie di esami e punta a farti stare peggio solo per capire cos’hai, mentre intanto lui si riempie di antidolorifici. Allora, dico io, me ne strasbatto del fatto che sei simpatico e deliziosamente blasfemo, dammi sta ricetta e piantala di cazzeggiare. Se poi sei proprio affetto da qualcosa di raro, allora sì che serve, ma quanto spesso capita?
E non parliamo del Seattle Grace. L’ospedale in cui tutti gli studenti e i medici sono belli e fascinosi, certamente più delle infermiere bolse di Cassano D’Adda. Ma non appena sei sotto i ferri, e scopri che il chirurgo alla tua destra pensa solo a come entrare nelle mutande della specializzanda alla tua sinistra mentre ti apre il torace, forse è la volta che anche Cassano D’Adda riacquista una sua dignità.
Parliamo del soprannaturale. Dei demoni e degli alieni. Perché lo so che guardavate Streghe con la segreta speranza di incontrare prima o poi un angelo come Leo o, perché no, un demone cazzuto (anche nel senso anatomico) come Balthazar. Eppure, anche qui, vi chiedo di ragionare un secondo sulle implicazioni. Un mondo dove esiste davvero il soprannaturale, amici miei, è una merda vera. Perché ci sono sì le medium simpatiche, o le maghe sexy, ma è anche pieno di vampiri assassini, diavoli mangiacarne, extraterrestri che senza chiedere “per piacere” ti piazzano sonde nel retto come se fosse un normale passatempo. Non si può fare come Elena Gilbert di Vampire Diaries, che quando ha alle costole un vampiro superforte, iperveloce e megaimmortale, che l’unica cosa che non può fare è entrare in casa di lei senza permesso, esce e va a scuola. Ma Gesù Cristo, comprati i cofanetti di Lost e stai a casa tua! Che poi tutto il vicinato si preoccupa per la tua sorte! Sapete cosa succederebbe nella vita reale se un vampiro ci cercasse per sacrificarci tipo agnello pasquale? Daremmo fuori di matto, non riusciremmo più a chiudere occhio e ci cagheremmo addosso ogni due minuti. Altro che far le fighe al liceo. Perché la cosa più probabile non è che un bel non-morto ti trasformi (che sappiamo non essere una cattiva idea): è più facile che diventi la vittima sacrificale della bella neo-vampira che si sta ancora ambientando. E il tuo è il nome di quelli che nemmeno trovi nei titoli di cosa.
“Uncredited”.
Ed è tutto così… facile pensare che sarebbe bello avere Joshua Jackson che lavora per la polizia (e che polizia). Me se vuoi Joshua Jackson, ti prendi anche l’universo alternativo e gli scienziati pazzi che rischiano di distruggere il pianeta. Oh, tutto il pianeta, non c’è terremoto o tsunami che tenga. D’altronde, Joshua Jackson non può mica occuparsi del solito omicidio ferragostano, con tutto il rispetto.
E se vuoi la forza e il coraggio di Jack Bauer, ti becchi anche i terroristi armati di bombe atomiche fuori dalla porta di casa.
E se vuoi la squadra di Criminal Minds ti toccano ottomila serial killer al mese, e qual è la cosa più probabile? Che tu sia uno dei poliziotti fighi o uno dei corpi sotto i teli bianchi?
E se è figa la signorotta che vende l’erba al vicinato, immagina che sia TUA madre.
Il paradosso di Wilfred ci conduce a una sola, semplice verità: che è meglio pensarci due volte, prima di dar via Cinisello Balsamo per Everwood.
In ultimo, nonostante la sapienza infusa dal paradosso, qualcuno potrebbe farsi cogliere dal dubbio, pensando che ci sia un’eccezione nella comedy. In effetti, vivere in una sitcom deve avere i suoi vantaggi. Se ti abitui agli spazi limitati, non devi affrontare problemi gravissimi, hai spesso di che ridere, bevi e bevi senza mai lavorare (Cougat Town docet). Eppure, anche qui si nascondono delle insidie. Riflettete: se Sheldon Cooper non comparisse per venti minuti a settimana in tv, ma fosse DAVVERO il vostro coinquilino, OGNI giorno, TUTTO il giorno, lo amereste allo stesso modo?
Sicuri?
Sicuri-sicuri?
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PS I più scaltri tra voi potrebbero dirmi: “perché hai chiamato il post ‘Il paradosso di Wilfred’, se poi quello che descrivi a conti fatti non è un paradosso, ma una semplice riflessione/considerazione?”
Grazie della domanda. Pensate a quante persone avrebbero letto il post se l’avessi intitolato “ecco una cosa che mi è venuta in mente e che ho pensato di poter scrivere perché il blog è mio”.
Bravi, siete arrivati alla mia stessa conclusione.