Breaking Bad 4 di Diego Castelli
Torna la migliore serie di AMC, alla faccia di Mad Men e tutti gli altri
Un anno fa, alla nascita di Serial Minds, dedicai il mio primo post a Breaking Bad. Poco più di dodici mesi dopo, eccomi nuovamente a parlare della splendida serie di AMC, da poco approdata alla quarta stagione.
E il post sarà più corposo, perché a distanza di un anno i limiti inizialmente imposti dal tirannico Villa sono stati completamente erosi dalla nostra logorrea. Caro socio, ti ho lavorato ai fianchi e ho… wait for it… vinto!
Proprio il Villa, parlando di The Killing, ci aveva descritto quella filosofia della lentezza che ha fatto e sta facendo la fortuna di AMC. Una fortuna partita nel 2007 con Mad Men (tuttora il prodotto di punta del canale), e proseguita appunto con Breaking Bad (capace di vincere 20 premi tra cui sei Emmy), The Walking Dead, The Killing ecc.
La strategia narrativa di AMC è ormai chiarissima: ritmo lento e controllato, tensioni violente nascoste sotto densissimi silenzi, concept non rivoluzionari ma inquadrati in nuovi punti di vista, soluzioni visive ricercate e mai banali.
Breaking Bad è tra i fondatori di questa recente tradizione e il primo episodio della quarta stagione non ha smentito le enormi qualità della serie ideata da Vince Gilligan.
Senza stare a riepilogarne con troppe parole i punti di forza (i dialoghi ficcanti, le situazioni tesissime, l’alta ricerca formale, l’insospettabile humour nero e, soprattutto, la bravura stratosferica di Bryan Cranston), questa nuova annata pare particolarmente importante per il futuro del telefilm.
Come ben sapete (non voglio nemmeno pensare che non lo sappiate…), il protagonista è un ex professore scopertosi malato di cancro e diventato produttore di droga per guadagnare denaro facile da lasciare alla famiglia. Un concept particolarmente duro, che a suo tempo permise di articolare al meglio uno dei temi cardine della serie: la capacità di reazione dell’essere umano di fronte alle sfide più estreme poste dalla vita. La trasformazione di Walter da timido e remissivo insegnante a criminale pronto a tutto è stata una percorso affascinante, che ha creato un’empatia fortissima tra il personaggio e i suoi spettatori: non si poteva che seguire col cuore in gola le vicende di quest’uomo disperato e ferito, costretto a cose indicibili per proteggere sé stesso e le persone che ama.
A distanza di qualche mese (e tre anni per noi), diverse cose sono cambiate. Da una parte, la moglie di Walt l’ha scoperto e lo ha lasciato, anche se continua ad avere bisogno dei suoi soldi per curare il cognato, ex poliziotto gravemente ferito proprio a causa dell’attività del nostro professore. Dall’altra parte – e soprattutto – Walt è guarito. Ecco un vero scoglio per gli sceneggiatori: non si può essere “malati terminali” a vita. O muori, e la serie muore con te, oppure guarisci, e si pone un problema. L’attività criminosa di Walter era motivata esclusivamente dal suo desiderio di racimolare denaro per i familiari (specie il figlio disabile), e con la guarigione dovrebbero venire a mancare le basi di tutto il racconto.
Per dare nuova linfa alla storia, gli autori hanno usato uno stratagemma abbastanza semplice, ma che ha avuto bisogno di un lavoro costante e preciso per essere pienamente credibile: nel suo nuovo “lavoro”, Walter è inevitabilmente entrato in contatti con vari malavitosi e ora, malgrado la sua volontà di uscire dal giro, non può chiamarsi fuori, perché la sua droga è richiestissima e muove interessi troppo grossi.
Entra qui in gioco un altro personaggio fantastico, che anche per la bravura del suo interprete regge il confronto con lo stesso protagonista. Si tratta di Gus Fring, impersonato dall’attore danese di colore Giancarlo Esposito. No no, non ho sbagliato a scrivere. E’ nero, danese, con nome italiano. Figlio di una cantante d’opera e di un carpentiere di Napoli. Finito di scrivere qui, vado a leggermi la biografia su imdb, ché la faccenda è interessante.
Fring è un grande capo del crimine, nascosto dietro una facciata di imprenditore per bene e dedito alla beneficenza. Fin dalla sua prima apparizione abbiamo colto l’inquietante spessore del personaggio, una figura gentile e sobria, apparentemente capace di grande compassione. Peccato che il suo essere un boss della droga era di per sé il motivo che ci faceva guardare ai suoi occhialetti da intellettuale con grande sospetto, pur essendo avvinti dal suo fascino pacato.
La sua vera natura di spietato gangster era già lentamente affiorata, qui e là, e Walt si era reso conto con sempre maggiore chiarezza che fuggire dagli spacciatori messicani per andare a lavorare per lui era come finire dalla padella alla classica brace. Ma Fring non aveva ancora fatto vedere di cosa fosse realmente capace. Almeno fino a questa season premiere.
Qui devo spoilerare un pochino, ma eviterò di esagerare.
La scena di assassinio dell’episodio di settimana scorsa è da antologia. Un meraviglioso riassunto di tutto ciò che ha reso grande questa serie, e che sta facendo la fortuna di AMC. C’è tutto: la razionalità e l’impotenza di Walt, lo stordimento di Jesse, la natura silenziosamente malvagia di Fring, che non dice una parola per tutto il tempo, creando ugualmente una tensione indicibile. E infine una violenza cruda, pesante, per uno degli omicidi più brutali (e brutalmente inquadrati) della televisione recente. Un colpo al cuore e soprattutto allo stomaco, che ci ha inevitabilmente legato alla sedia per tutti gli episodi a venire.
Proprio in questa dinamica vedo uno dei maggiori rischi per il prossimo futuro: il timore è che caricare così tanto il primo episodio della stagione renda difficile mantenere questo livello nelle prossime settimane, rimanendo comunque credibili. Ma questa è anche una sfida affascinante, per un gruppo di autori che ha dimostrato di saper tirare fuori emozioni clamorose da poche ambientazioni e ancor meno personaggi, in un crescendo drammatico che ha pochi eguali nella serialità attuale.
Insomma, ci fidiamo, e in questa torrida estate (si dice sempre così, anche se a dirla tutta fa freschino…) non ci lasceremo sfuggire un solo minuto delle splendide disgrazie di Walter White.