Reverse Emmys: quando non c’è limite al peggio! di Diego Castelli
Votate con noi le più pregiate ciofeche dell’anno!
L’altro giorno il Villa ha postato la lista dei nominati agli Emmy, ma non ha potuto scrivere un commento articolato, perché anche lui ha un lavoro, una casa da mantenere, il mutuo, le spese mediche per quella barba che proprio non riesce ad estirpare malgrado gli interventi al laser. E io settimana scorsa non ero messo meglio.
Vi abbiamo lasciato lì, da soli, e voi avete commentato con competenza e passione, riempiendoci di gioia.
Oggi pensavamo di dire la nostra, ma in realtà avete già detto voi quasi tutto il necessario. Dalla folle assenza di Community (che avrebbe meritato sia come serie nel suo complesso sia per i suoi attori, Danny Pudi su tutti), a quella di The Walking Dead. Dal gradito e meritato ritorno di Matt LeBlanc ai giusti riconoscimenti per Parks and Recreation. Arrivando all’analisi in qualche modo politica e di marketing che spiega la scelta dei network di continuare a spingere serie che ormai faticano a lasciare il segno come avevano fatto al momento della loro comparsa (penso a 30 Rock o a Mad Men, che ormai sono in nomination quasi per diritto divino).
In realtà potremmo anche aprire un discorso più approfondito. Mentre in occasione dei premi cinematografici i prodotti sono sempre necessariamente nuovi, quando si parla di premi televisivi bisogna fare i conti col fatto che una gran parte dei possibili nominati di un determinato anno era in lizza anche dodici mesi prima. Sorgono a questo punto questioni non banali: se una serie crea grande scalpore al momento della sua nascita, imponendosi per qualità e forza innovativa, e poi rimane costante nel tempo, verrebbe da pensare che ogni anno vada candidata con la medesima convinzione, almeno finché non ci saranno altre tot serie che, in quel suddetto anno, hanno fatto meglio di lei. In questo senso, la costante candidatura di Mad Men ha il suo bel senso: nasce come telefilm strafigo e sorprendentemente innovativo, rimane qualitativamente altissimo, viene candidato ogni volta. Ragionamento lineare.
Allo stesso tempo, però, non sono poche le persone che di fronte a tali candidature lamentano una fossilizzazione eccessiva sugli stessi titoli. Più prosaicamente: Mad Men c’ha scassato o’ cazz. In questo colorito punto di vista c’è l’altra angolazione da cui possono essere viste occasioni come questa: interpretate come premiazione della creatività, come sostegno all’evoluzione del mondo telefilmico. In questo senso, se Mad Men rimane estremamente ben fatto, ma sempre uguale a sè stesso, potrebbe essere considerato poco degno di ricevere nomination continue, a meno che non riesca a dare un’ulteriore spinta a quanto di buono ha già fatto in passato (dove la “spinta”, ovviamente, può riguardare una molteplicità di aspetti, dalla scrittura alla recitazione, alla messa in scena).
Istintivamente, io sono più per la seconda parrocchia, e per esempio mi lamento dell’assenza di The Walking Dead, che avrei di gran lunga preferito a Dexter. Perché The Walking Dead ha portato una ventata d’aria fresca (benché i suoi protagonisti siano in putrefazione), mentre Dexter è sostanzialmente immobile da anni. I sostenitori del primo punto di vista direbbero: ok, ma se questa stagione di Dexter è, in assoluto, meglio di questa stagione di The Walking Dead, merita di stare in nomination.
Questione non semplice, insomma. Detto anche che questa è l’analisi critica. Se uno ci mette la pancia e il cuore se ne frega dell’età di questo o quel telefilm o della sua capacità di rinnovarsi. Vuole sempre Hugh Laurie in nomination perché House è come Dio, solo più divertente, vuole la vittoria costante di Jim Parsons perché Sheldon non si tocca, si lamenta perché non c’è Neil Patrick Harris (come c*&%o si fa a non considerare Barney Stinson!).
Vabbe’, non volevo parlare degli Emmy e alla fine l’ho fatto lo stesso. Ma oggi abbiamo comunque un’altra chicca in serbo per voi. Se tutti parlano delle serie migliori dell’anno, in attesa della premiazione del 18 settembre, noi andiamo oltre, e accendiamo un altro feroce dibattito. Quali sono le più clamorose ciofeche di questa annata televisiva ricca di cancellazioni e fuffa? Ecco le nomination, con tanto di motivazione. Diteci la vostra!
PEGGIOR DRAMA
Off the map
Shonda Rhimes pubblicizza con la sua faccia questa sorta di Grey’s Anatomy nella giungla. Stessi personaggi irritanti, stessa soap zuccherosa, ma in compenso nessuna traccia della scrittura brillante e a tratti sorprendente della serie cugina. E complimentoni.
The Borgias
Showtime cerca di stupire con l’intrigo politico e gli scandali sessuali tra prelati medioevali. Grandi mezzi, grandi attori, grandi riferimenti storici. E noia fino ad annegare. Prendere appunti da Game of Thrones, grazie.
The Cape
Come sparare sulla crocerossa. Supereroismo e costumi da power ranger per una delle più brucianti delusioni della stagione passata. Irritante per la pochezza della narrazione e per l’involontaria comicità di molte soluzioni visive.
Criminal Minds – Suspect Behaviour
Una vittima eccellente di questa stagione. Troppo, troppo, troppo scontato e goffo nella costruzione delle storie criminose. Il confronto con la serie madre è quanto mai impietoso, la cancellazione alla fine inevitabile.
Breakout Kings
Altra serie che non lascia nulla all’immaginazione, elevando lo spiegone a divinità suprema. Aggiungeteci personaggi piatti e senza carisma, e lo sbadiglio è garantito.
Body of Proof
Dana Delany è protagonista di uno dei crime più sopravvalutati della stagione. Nulla di nuovo, tutto già visto, con l’unica novità di una protagonista che fa l’investigatrice con la stessa faccia e lo stesso atteggiamento di quand’era una casalinga disperata.
PEGGIOR COMEDY
Hellcats
Il Villa si è tirato addosso gli insulti della comunità preadolescenziale, ma con coraggio ha sempre sostenuto ciò che era ovvio: sta roba fa cagare.
Glee
Voi sapete che io sono un fan della prima ora di Glee. Ma non si può nominare agli Emmy una serie la cui seconda stagione è così smaccatamente inferiore alla prima. E’ per la candidatura di Glee che l’esclusione di Community fa più male.
Chaos
Le simpatiche e mirabolanti spie della CIA non sono state né simpatiche né mirabolanti. Non una battuta decente, solo stanchi stereotipi della comicità e una generale atmosfera di posticcio e arruffato.
Skins US
Una serie che patisce in maniera violenta il confronto con l’originale. Se per Shameless la traduzione americana è stata non solo indolore, ma forse persino vantaggiosa, lo Skins a stelle e strisce è la classica brutta copia. Pollice verso.
Happy Endings
La principessina di una robusta dose di comedy non divertenti. I soliti trentenni, le solite idee, i soliti meccanismi. Anche basta.
Undercovers
Il maestro JJ Abrams, tra una genialata e l’altra, è anche capace di prendersi delle pause. Undercovers è quella di quest’anno. Serie non necessaria e priva di alcun fascino.
PEGGIOR ATTORE PER UNA SERIE DRAMA
Forest Whitaker – Sam Cooper in Criminal Minds: Suspect Behaviour
Lui che ha sempre fatto il tipo strano, il matto, il disagiato, viene ingaggiato per fare il capo di una squadra di detective. E fallisce. Era davvero così difficile prevederlo?
Steven R. McQueen – Jeremy Gilbert in Vampire Diaries
La sua serie prosegue con dignità, divertendo tanto pubblico giovane. Lui, però, non riesce a togliersi dalla faccia quella fastidiosa espressione da “guardatemi, non sono il nuovo James Dean?”, che ormai ha largamente rotto le balle. Mai una sfumatura, mai un guizzo. E non ha manco i poteri (vabbe’, questa non c’entra con l’attore…)
Stephen Moyer – Bill Compton in True Blood
Il suo personaggio ormai perde costantemente la sfida in figaggine col più tenebroso, simpatico, alto e muscoloso Eric. Gli rimane solo la voce più roca, ma è probabilmente un problema di faringite.
Jonathan Sadowski – Henry Goodson in Shit My Dad Says
La sua serie è già di per sé nella media, e lui non fa nulla per rialzarla. Protagonista di una sitcom, non fa ridere MAI, lasciando tutto sulle spalle del povero William Shatner. Che è anche anziano, poveraccio
Christian Slater – Oz in Breaking In
In realtà, il buon Slater non è mai stato un cattivo attore, e non lo è diventato adesso. Però ormai è abbonato ai fallimenti televisivi: non sa scegliersi i progetti vincenti, e una volta che c’è dentro non riesce nemmeno a metterci una pezza col carisma (che, forse, a sto punto, non ha).
Tom Welling – Clark Kent in Smallville
Una citazione d’obbligo. Welling in fondo è stato un buon Clark Kent, perché fisionomicamente adatto a fare Superman. Ma in quanto a capacità recitativa, era e rimane un cane totale, con l’espressività di un cesto di vimini. Grazie Tom, ci mancherai!
PEGGIOR ATTRICE PER UNA SERIE DRAMA
Blake Lively – Serena Van Der Woodsen in Gossip Girl
Ci ha sedotto per anni con la sensualità delle lunghe gambe e con l’atteggiamento da troia (non troppo) pentita. Ma alla fine dei conti rimane un fatto: che Blake Lively è attorialmente inferiore a tutto il cast del telefilm di cui fa parte. E pure di tanto.
Calista Flockhart – Kitty Walker in Brothers & Sisters
Brothers & Sisters è stato cancellato, e al di là del fatto che non lo vedevo più, non sentiremo la mancanza della signora Harrison Ford. Tanto caruccia e particolare in Ally McBeal, tanto stranamente storta e forse rifatta in questa saga familiare in cui lei era largamente la faccia più da schiaffi.
Ellen Pompeo – Meredith Grey in Grey’s Anatomy
Forse, in fondo, la mia adesione a questo blog ha un’unica vera motivazione: poter parlare male di Ellen Pompeo. Il motivo del suo ingaggio a Grey’s Anatomy è tuttora per me un mistero. Cagna, cagna maledetta…
Julie Benz – Stephanie Powell in No Ordinary Family
Credevamo che in Dexter fosse fastidiosa per esigenze di personaggio. Quando abbiamo visto che è ugualmente irritante in No Ordinary Family abbiamo compreso la verità: non è questione di personaggio interpretato, è proprio Julie Benz a starci sui coglioni!