Glee 2 – Finale smortino di Diego Castelli
Ecco perché volevamo di più dalla seconda stagione
OCCHIO AGLI SPOILER!!!!
Inutile negarlo, sono rimasto deluso dal finale di Glee.
In occasione della puntata speciale dopo il Super Bowl avevamo messo in luce un po’ di problemi della seconda stagione (che forse c’erano anche nella prima, nascoste però dalla forza della novità): linee orizzontali troppo sfilacciate, storie sentimentali che nascono e muoiono nello spazio di un episodio, cambiamenti di umore fin troppo rapidi per essere credibili.
Ebbene, le puntate successive non sono riuscite a correggere la rotta come speravamo, e hanno anzi aggiunto qualche criticità ulteriore, fino a una conclusione abbastanza mediocre.
Ora non vorrei essere troppo disfattista: anche quest’anno ci sono stati buoni episodi, guest star interessanti, dialoghi gustosi. Senza contare l’introduzione delle canzoni originali, novità indubbiamente apprezzata. Peraltro, le ultime tre-quattro puntate hanno cercato di riannodare alcuni fili narrativi, con uno sviluppo orizzontale più ampio e meno salti mortali: penso alla storia Rachel-Quinn-Finn, al proseguire dal racconto relativo all’ex bullo Karovsky, allo strano triangolo Brittnay-Artie-Santana. Ma potremmo citare anche la (surreale ma simpatica) stabilità della relazione tra Puck e Lauren e di quella tra labbro-arricciato Kurt e il fringuello Blaine.
Purtroppo, però, ad alcune buone intuizioni si sono aggiunti diversi, inutili scivoloni. Su tutti il ritorno di Jesse St James, completamente posticcio. E’ evidente che gli autori cercavano un nuovo elemento di disturbo, ma il gruppo era già abbastanza incasinato di suo, e la ricomparsa improvvisa di questo tizio sembra del tutto superflua, tanto più che viene subito ingaggiato per fare da consulente canoro, una cosa campata per aria e del tutto incoerente col personaggio di Will, che mai avrebbe dovuto permettere una cosa del genere.
Si può dire lo stesso della morte della sorella di Sue. L’evento di per sé è trattato con cura, e il funerale emoziona assai. A non stare in piedi, purtroppo, è proprio la scelta del momento. Sue stava organizzando trame malvage di ogni tipo col suo gruppo di buffi scagnozzi (un’idea, quella della squadra di guastatori, che poteva avere ottimi sviluppi), finché tutto non viene spazzato via dal lutto, che ci lascia una Sue Sylvester improvvisamente cucciolosa e remissiva. In un solo episodio, sulla base di un fatto fin troppo improvviso, vengono cancellate alcune basi fondanti dello show. E il peggio è che, probabilmente, non sarà nemmeno così. A meno che gli autori non introducano un nuovo “cattivo” (un po’ come fecero quelli di Gossip Girl, che resero positiva la figura di Chuck inserendo gente più stronza di lui), Sue dovrà comunque tornare a fare la parte dell’antagonista, con un andirivieni già goffamente sperimentato in passato. Quindi, o perderemo la Sue Sylvester che conosciamo, o assisteremo all’ennesimo cambiamento di umore. Non so quale delle due sia la prospettiva peggiore.
E nel calderone dell’inutilità ci metto anche i Fringuelli. Il ritorno di Kurt alla McKinley, ampiamente scontato, non è stato caricato di alcuna reale emozione, e l’unica cosa che ci è rimasta di quel breve periodo è Blaine, uno che sembrava vivere 24 ore al giorno con i suoi compagni di canto, e che ora invece è sempre a cazzeggiare in giro con Kurt, finendo persino a cantare al ballo della scuola rivale. Prego?
Veniamo ora al finale vero e proprio, che presenta più di un problema. In primo luogo, è lo stesso dell’anno scorso. Rachel & Co. partecipano alla grande competizione e perdono. Dodici mesi fa non risparmiai elogi per questa scelta: decidere di chiudere con una sconfitta era non solo piacevolmente provocatorio, ma lasciava anche modo di capire che la forza del Glee Club stava nella sua stessa esistenza, nella sua capacità di offrire rifugio e fiducia a persone che non potevano riceverne dall’esterno. Tutti concetti impliciti, ma chiarissimi.
Ora, farli perdere di nuovo può essere una scelta coerente e ancor più coraggiosa, ma di certo non è nuova. E in più c’è lo spiegone finale, con i personaggi che ci raccontano perché stare nel Glee Club sia più importante che vincere col Glee Club. Non c’era bisogno di dircelo un’altra volta, e di certo non serviva mettere tutte queste sagge parole in bocca a una come Brittany, che per il resto del tempo è idiota come una mosca che sbatte contro un vetro.
Anche la scelta di motivare la sconfitta con l'”inappropriato” bacio tra Finn e Rachel è poco felice. Perché è evidentemente costruita per dare più importanza all’amore che alla vittoria, ma la cosa funzionerebbe molto meglio se solo i due protagonisti non fossero la coppia romantica più scarsa della televisione recente. Sono due talentuosi babbei, e il loro amore non potrà mai avere l’intensità giusta: troppe volte hanno cambiato idea, e troppe volte li abbiamo visti in situazioni ridicole (se non irritanti) per patteggiare davvero per loro. Non sono Ross e Rachel, non sono Seth e Summer, non sono Pacey e Joey.
In più, e qui finisco con le critiche, la decisione di bastonarli per la limonata sul palco viene da una giuria che non si vede. Errore colossale, considerando che alle regionali i giudici erano la vera Idea (con la i maiuscola) di Ryan Murphy. In una serie di teen ager, in cui si raccontano storie edificanti legate alla musica, l’autore ci mostrava la sconfitta degli eroi, e la metteva in mano a un gruppo di giudici esilaranti a cui non fregava nulla della competizione. Un modo geniale di tenere alta la tensione, svuotandola al contempo di quell’importanza fittizia e zuccherosa dei racconti per bambinette. Come a dire “ehi, divertiamoci, ma non prendiamoci troppo sul serio che siamo sempre un telefilm”.
Di questa forza autoironica, nel finale della seconda stagione non c’è alcuna traccia. Vediamo un certo numero di esibizioni (e neanche belle come quelle delle regionali, aggiungerei), e poi un verdetto. Niente di nuovo, niente di diverso.
A conti fatti, sono un po’ pessimista per il futuro. L’incapacità di tenere salde le redini della narrazione, con lo scivolamento progressivo in una sequela di esibizioni canore variamente immotivate, sembra diventato un problema quasi cronico. E questo calo di inventiva sul finale, con un pericoloso avvicinamento al musical “classico”, mi annoia e mi preoccupa.
In verità non è ancora tempo, per noi spettatori, di prendere decisioni drastiche. L’anno prossimo è quello del diploma ed è lì, in prossimità dell’annunciato cambiamento di cast, che Murphy potrebbe trovare terreno per scelte realmente sorprendenti. E sarebbe ingiusto dire che è tutto da buttare, perché anche quest’anno abbiamo avuto qualche bella soddisfazione. Tanto per dire, il pur inutile Jesse St James è riuscito a dire a Finn (che rimane “il protagonista della serie”), che è il più incapace di tutti. Grosso applauso per una verità incontestabile, che in un telefilm completamente “normale” nessuno pronuncerebbe mai.
Insomma, Glee non è morto, ma non sta neanche così bene.
Qui è alla Storia dei telefilm che si punta, cari miei, e bisogna impegnarsi un po’ di più.