House 7 – Finale di stagione di Diego Castelli
Ancora un episodio da incorniciare, in una serie che non finisce di stupire
OCCHIO AGLI SPOILER!
E col ventitreesimo episodio chiudiamo anche la settima stagione di House. Forse l’ultimo “season finale”, visto che pare ormai certo che quello del prossimo anno sarà un “series finale”, ultimo atto di uno dei telefilm più significativi di questi anni.
Siccome sapete che sono un estimatore incrollabile del buon Greg, e visto che amo rimanere nel personaggio, è inutile che io vada per il sottile: ancora un finale capolavoro.
E adesso vi spiego perché.
Ve lo ricordate l’ultimo episodio dell’anno scorso? Il disastro, la ragazza intrappolata, la scelta dell’amore invece delle pillole? Tutto molto hollywoodiano, se volete, persino un po’ consolatorio. Bello, bellissimo, ma guardando ora il finale della settima stagione ci si accorge che quello non era il vero House. O meglio, era solo una parte di House, e c’è voluto un anno intero per chiudere il cerchio e vedere quel che restava, in tutta la sua improvvisa potenza.
Questa settima stagione ha collezionato i soliti, ottimi casi medici, e ha lasciato anche molto spazio ai personaggi secondari, con l’addio e il ritorno di Tredici (sempre più gnocca), le storie romantiche di Taub (che trovano spazio persino in questo finale House-centrico), la breve ma interessante parentesi della Masters. In conclusione, però, si ritorna sempre lì, a quel meraviglioso e complessissimo personaggio che è Gregory House, unica vera colonna portante.
In questi giorni si è tanto parlato del possibile addio di Lisa Edelstein, che ha scatenato le ire rabbiose dei fan, pronti a giurare che la serie morirebbe senza di lei. Balle, ragazzi. Finché c’è House, possono andare avanti all’infinito: perché quando hai una figura così forte tra le mani, ti basta lanciarla contro il mondo, qualunque esso sia, e sai per certo che ne ricaverai qualcosa di interessante.
Questo senza nulla togliere alla Cuddy, che anzi è il principale motore delle bellezze di questo finale. Un finale che ci ha fatto capire una volta di più cosa rende tanto speciale il protagonista: non il genio medico, e nemmeno la lingua tagliente, bensì il modo in cui queste caratteristiche fondamentali si rapportano a un’ineliminabile umanità. Un’umanità repressa, reclusa, nascosta alla vista, persino detestata da una persona convinta che la sua mente e il suo raziocinio siano l’unica cosa necessaria (a trovare la felicità? Ad avere controllo sulle cose? Semplicemente, a produrre senso?). Il bello di questa serie è stato costruire un personaggio che sembra invincibile (e in alcuni ambiti lo è), ma che in realtà nasconde una fragilità disarmante, un uomo capace di scoprire verità biologiche invisibili ai più, ma del tutto inabile a carpire semplici certezze della vita.
Se House fosse solo “umano”, saremmo in un drama e non ce ne fregherebbe niente. Se fosse solo un supergenio, sarebbe forse divertente, ma non ci prenderebbe lo stomaco. L’unione delle due componenti fa la magia, creando una figura dai tratti mitici, ma al contempo profondamente vicina al nostro vissuto. Chi di noi, in fondo, non ha mai creduto di essere forte e superiore, salvo poi scontrarsi con un’interiorità oscura e difficile?
Certo, il nostro diagnosta è un’esagerazione, un’iperbole, ma ritroviamo in lui tutte le capacità e i difetti che noi, in quanto persone, possediamo o crediamo di possedere: il pensiero razionale, l’ironia, la capacità di astrazione e di comprensione delle menti altrui, la sostanziale impossibilità di avere una pieno controllo sui nostri sentimenti.
In questo senso, praticamente non esistono idee che non possano essere applicate a una serie come questa. L’esplosione violenta a cui assistiamo in questo finale, che potrebbe sembrare lontanissima da House, è in realtà perfettamente coerente con ciò che ci è stato raccontato in questi anni. Greg, da sempre vittima di un dolore fisico e mentale, all’apparenza sostenibile ma in realtà ogni giorno più logorante, era finora riuscito a trovare un precario equilibrio interiore, facendoci pure divertire molto, ma di fatto è sempre stato quasi folle, evidentemente bisognoso di cure psicologiche importanti. Il fatto che un evento specifico (la prevedibilissima rottura con la Cuddy) abbia smosso quel fragile equilibrio, provocando infine una potente e liberatoria deflagrazione, è assolutamente naturale, benché non manchi di sorprendere lo spettatore per le dinamiche con cui avviene. E il fatto che quella detonazione, quello “scaricare”, sia stato fino a quel momento chiesto e anzi preteso da quelle stesse persone (Wilson, la Cuddy) che poi non riescono a comprenderlo e accettarlo fino in fondo (e ci credo…), è solo l’ultimo tocco di genio degli autori.
Ancora una volta, House stuzzica il nostro cervello con la sua arguzia e la sua dialettica, per poi colpire le nostre viscere con la forza primitiva delle sue emozioni represse. Si pensi anche al penultimo, potentissimo episodio, dove l’incapacità del protagonista di parlare dei suoi problemi lo porta quasi alla morte pur di nascondere a sé stesso e agli altri il suo bisogno d’aiuto, come un bambino orgoglioso a cui qualcuno abbia messo in mano un bisturi.
Un telefilm come questo lascia storditi, confusi, ed è normale che parte del suo pubblico possa averlo abbandonato durante questi anni. Perché non ha mai accettato di stare fermo su un’unica mattonella narrativa, è sempre andato oltre, mescolando i generi e gli approcci, fregandosene di molte regole del normale racconto televisivo generalista.
Difficile dire cosa succederà ora. Difficile perché un altro confine è stato varcato, un confine anche solo banalmente “legale”. L’episodio si intitolava “Moving on”, e House afferma esplicitamente di stare “andando avanti”. In verità, per muoversi si muove, ma non si capisce se in avanti, indietro, o per un’altra via ancora, e non sappiamo cosa potrebbe accadere, né se esiste ancora una possibilità di riconciliazione.
Se l’anno scorso si intravedevano le linee portanti della stagione successiva (la storia con la Cuddy era appena iniziata), ora siamo più in difficoltà. L’House che cammina sulla spiaggia fa tanto “finale definitivo”, ma evidentemente ci sono tante cose da risolvere. Chissà se alla fine di tutto Greg riuscirà a trovare pace, o se invece stiamo lentamente scivolando verso un finale gloriosamente tragico, che nemmeno mi stupirebbe più di tanto e che anzi, forse, ritengo quasi consigliabile per un personaggio del genere.
La cosa certa è che mai e poi mai mollerò House. Devo assolutamente sapere cosa ne sarà di quest’uomo incredibile, insieme modello a cui aspirare e antieroe da compatire. Nel bene e nel male, passerà molto tempo prima che ne spunti un altro come lui, e me lo voglio gustare finché c’è.
.
.
.