Breaking In – Christian Slater ci prova con la comedy di Diego Castelli
Prima o poi dovrà azzeccarne una sto pover’uomo, o no?
Lo scorso 6 aprile ha debuttato Breaking In, terzo tentativo recente di sfruttare in tv la faccia da cinema di Christian Slater.
Il povero Christian – che non è un tipico “protagonista” ma che sul grande schermo ha fatto un sacco di buone cose (da Il nome della rosa a Robin Hood – Principe dei ladri, passando per Cose molto cattive e Intervista col vampiro) – non è ancora riuscito a fare il botto con una serie. Ci ha provato prima con My Own Worst Enemy (concept carino ma sviluppo farraginoso) e poi con The Forgotten (crime dignitoso ma onestamente insapore), senza incontrare fortuna.
Ora, ferito ma ancora in piedi, tenta con la commedia, sperando di evitare nuovi ceffoni dagli ascolti.
In realtà, Slater non è il personaggio principale. Breaking In, infatti, segue le vicende di Cameron (Bret Harrison, già visto in Reaper), un ragazzo che frequenta il college solo perché è riuscito a ottenere una corposa borsa di studio hackerando il computer dell’università. Cameron se la gode e vive alla giornata, finché non viene avvicinato da Oz (Slater), che ha riconosciuto le sue qualità di mago della tastiera e lo vuole nella sua squadra: Oz, infatti, dirige la Contra Security, azienda specializzata nel testare i sistemi antifurto dei propri danarosi clienti. In pratica sono un’accozzaglia di ex ladri e truffatori che hanno trovato il modo di farsi pagare per giocare agli Arsenio Lupin. All’inizio Cameron non vorrebbe partecipare, ma Oz conosce tutti i suoi sporchi segreti, e non si fa problemi a far aleggiare una velata minaccia di sputtanamento con conseguente incarcerazione.
Il pilot di Breking In lascia addosso sensazioni contrastanti. E’ superfluo dire che tutta la faccenda dei furti simulati è quasi solo un pretesto per costruire situazioni divertenti con un piccolo gruppo di personaggi bislacchi (che bella parola, bislacco…): Cameron, facendosi carico del nostro punto di vista, è il più “normale”. Oz è un capo puntiglioso e mezzo matto, appassionato di acquisti per corrispondenza, collezionista di spettacolosi memorabilia cinematografici, e totale menefreghista nei confronti della privacy altrui: non gli sfugge niente, prevede fastidiosamente le frasi dei suoi interlocutori, sa tutto di tutti in ogni momento, e lo sa perché li spia. Josh (Trevor Moore) è l’esperto di travestimento. Cash (Alfonso McAuley) è il nerd costruttore di gadget e congegni strani. Melanie (Odette Annable) è l’esperta scassinatrice, ed è la topa del gruppo (una topa d’appartamento, diciamo). Superfluo sottolineare che inizia quasi subito una linea romantica con Cameron cotto perso della “ragazza troppo bella per lui ma che prima o poi si accorgerà che è simpatico e dolce”.
Dicevo delle sensazioni contrastanti. Sì perché i primi dieci minuti del pilot non mi sono piaciuti affatto. Banalmente, si fa fatica a entrare in sintonia con i personaggi, che suonano abbastanza antipatici. I problemi maggiori li crea Cash: di fronte all’ennesimo nerd amante delle serie tv / smanettone tecnologico / stramboide con le frasi tormentone, viene anche spontaneo dire “mabbbasta”, considerando che Sheldon in The Big Bang Theory e Abed in Community sono tutto ciò che serve per vivere telefilmicamente felici. Tanto più che Cash non mi sembra avere in nessun modo la carica creativa dei due geni sopracitati.
In parte, questa brutta sensazione si attenua col proseguire dell’episodio. Al di là del caso di puntata, che come detto rimane un pretesto, ci sono alcune trovate interessanti, e nel finale ci si accorge che la trama era più articolata di quello che pensavamo, con quel classico meccanismo di rimandi incrociati e di rapidi flash back che fanno esclamare “ah cacchio, guarda quel tizio cosa aveva architettato, e io non mi sono accorto di niente”.
Signori, nulla di nuovo sotto il sole, sia chiaro. Tutto più o meno già visto altrove, e nei primi due episodi si percepisce anche un leggero problema di ritmo: troppo tempo tra una risata e l’altra, troppa costruzione (o, meglio, costruzione “troppo evidente”).
Di una cosa gli va dato atto: sanno come distrarre lo spettatore da eventuali magagne. Nel pilot ho spalancato gli occhi di fronte alla comparsa di Michael Rosenbaum, l’ex Lex Luthor di Smallville (scusate il gioco di parole). Interpreta il fidanzato di Melanie, dunque il rivale del nostro protagonista, e tanto era calvo e diabolicamente misurato in Smallville, tanto qui è capellone e coglione (scusate di nuovo): basti dire che per lavoro vende urina pulita su ebay, per quelli che devono passare i test antidoping. Un idiota completo, ma anche un perenne entusiasta e un inguaribile romanticone: combinazione micidiale, come forse potrebbe dirvi meglio di me la Vitali in uno dei suoi seminari (anche se non credo che Dutch finirebbe in una delle sue liste di fidanzabili…).
E mi stavo ancora riprendendo dalla sorpresa di trovarmi di fronte un ex genio del male diventato genio del piscio, che nel secondo episodio compare Alyssa Milano, la sexyssima Phoebe di Streghe. Non si è capito precisamente quanto sarà visibile nel prossimo futuro, ma in linea di massima non ci dispiace, anche se è evidente che è costretta a indossare abiti dissimulanti perché dai tempi degli incantesimi ha magicamente messo su dieci-quindici chili.
Vedremo cosa accadrà. Il primo episodio ha registrato buoni ascolti, il secondo era già in calo robusto. Il rischio è quello: che il meccanismo si affini, ma che manchi la dose di novità necessaria a farsi largo tra i concorrenti.
Previsioni sul futuro: nuove casseforti da svaligiare, nuove sfumature romantiche tra Cameron e Melanie, nuove surreali idiozie.
Perché seguirlo: a dispetto di un inizio poco convincente, riesce a strappare più di una risata.
Perché mollarlo: non riesce ancora a essere realmente innovativo, e nel mare dell’attuale offerta comedy rischia di rimanere schiacciato.