Shameless – Prima stagione da standing ovation di Marco Villa
Come innamorarsi di una serie (e di Fiona Gallagher)
È stato il ritornello d’inizio anno: remake, remake, remake.
Se Skins l’ho mollato dopo il pilot e Being Human lo guardo con mezzo occhio, Shameless l’ho visto fino alla fine alzandomi in piedi ad applaudire dopo ogni puntata. No vabbè, non esageriamo: non mi alzerei mai dal divano. Mi limitavo ad annuire con entusiastica convinzione.
Che fosse notevole, ve lo dicemmo giusto dopo il pilot. Quello che ancora non sapevamo era che si sarebbe rivelato la sorpresa più bella di questi mesi, con buone chance di giocarsi fino in fondo le sue carte per l’intero 2011. Breve riassunto: si parla della famiglia Gallagher, giusto un filo disfunzionale. Madre sparita, padre alcolizzato irrecuperabile, cinque figli lasciati a crescere con la primogenita, poco più che ventenne.
Un quadretto che potrebbe portare in due direzioni: da una parte il dramma dickensiano su povertà e disaggio, dall’altra la soluzione comedy cinica e cattiva. La forza di Shameless sta nell’aver preso queste due possibilità e nell’averle incrociate e sovrapposte, al punto da risultare un prodotto impossibile da classificare per genere. È divertente seguire tutti le peripezie dei fratelli, ma è angosciante vedere un padre che ruba – letteralmente – il cibo ai figli per racimolare soldi da investire in birre e whisky. È tragico vedere compiersi un destino di povertà e stallo sociale per un’intera generazione, ma è spassoso seguire gli esperimenti del piccolo Carl o le manie (e perversioni) di Sheila (fantastica Joan Cusack, che peraltro ha sostituito Allison Janney dopo la prima versione del pilot). Per provare a fare una cosa del genere, bisognava avere in squadra un mezzo genio, altrimenti tanto valeva scegliere una delle strade più battute citate in precedenza. Il genio in questione si chiama John Wells, figura centrale nella nascita e nello sviluppo di una cosuccia quale ER e responsabile delle ultime tre stagioni di The West Wing.
La scrittura di Shameless è basata essenzialmente sui personaggi, due in particolare: Frank e Fiona. Padre e figlia, in comune hanno DNA e iniziale del nome, ma nient’altro. Frank è una persona spregevole: incapace di prendersi qualsiasi tipo di responsabilità e disposto a scaricare ogni colpa sul sistema e su chi lo circonda, è l’elemento destabilizzante della famiglia Gallagher, quello capace di rovinare tutto in qualsiasi istante. L’eccezionale bravura di William H. Macy sta nel fatto di mettere in scena un personaggio orrendo, ma impossibile da odiare fino in fondo. Dietro alla facciata da insensibile, si legge infatti il peso di un figura tragica, incapace di controllare la propria vita e di arrivare a notte senza addormentarsi nel proprio vomito. Ecco allora che tutto si ferma, giusto un attimo prima di trasformarlo nel “personaggio cattivo”. Insomma, bombetta di scrittura.
Destino ribaltato per Fiona, interpretata dalla splendida Emmy Rossum (uomini, ve ne innamorerete. Garantisco, ci sono passato. Sono anche andato ad ascoltarmi il suo disco – che talento poliedrico. Mi piacerebbe dirvi che è un capolavoro folk composto in cameretta con la chitarrina, purtroppo è un ammasso di cliché e bel canto. Ma amen). Fiona è la figura che tiene in vita la famiglia: sboccata, disinibita e cazzara, ma anche responsabile e capace di seguire e sostenere tutti i fratelli. Personaggio perfetto, da ammirare incondizionatamente? Troppo facile: la sua vocazione al martirio ci impedisce di stare fino in fondo dalla sua parte. E qui risuonano altri applausi.
E poi ci sono la piccola Debs e il suo straziante bisogno di attenzioni, la malattia di Sheila, la situazione tragica della ragazza di Lip. Detta così, sembra un prontuario di sfighe e in parte lo è. Shameless, però, è raccontata talmente bene da diventare un vero e proprio spettacolo. La prima stagione è stata un gran successo, la seconda arriverà tra meno di un anno.
Avete tutto il tempo per mettervi in pari con questo telefilm.