Californication 4 – Finale con riflessione di Diego Castelli
Un caloroso arrivederci al mandrillo più adorabile della tv
OCCHIO: ALTI LIVELLI DI SPOILER!!!
Che palle le stagioni da dodici episodi: non ho fatto praticamente in tempo ad abituarmi al ritorno di Hank Moody, che già lo devo salutare fino al prossimo anno (almeno c’è la conferma di una quinta stagione!).
È brutto dover abbandonare, seppur temporaneamente, uno dei personaggi più cool della televisione tutta (si noti l’uso dell’espressione “cool”, per dimostrare quanto sono giovane). E già avevamo detto, a gennaio, quanto ci sia bisogno del suo fascino, della sua creatività, della sua goliardica trasgressione e del suo strano ma potente romanticismo.
Se ricordate, le prime due puntate di questa stagione di Californication avevano rispolverato la scrittura audace e brillante, pur senza introdurre novità di grande rilievo. Gli episodi successivi sono rimasti nel solco già tracciato in passato, con le consuete difficoltà di Hank nel tenere in piedi una vaga parvenza di famiglia, tra una ex stanca dei suoi eccessi fornicatori e una figlia sempre più affascinata dal punk, dalle borchie, dal contorno scuro degli occhi e da un gruppo di musiciste ribelli, le Queens of Dogtown (e povera Becca, sarebbe anche credibile se non avesse la voce di Calimero con la faringite). Allo stesso tempo, però, questo quarto ciclo ha portato a una sorta di quadratura, una specie di vero “finale” delle vicende di quattro anni fa.
Il nostro amato scrittore, infatti, aveva ripreso ufficialmente possesso del suo romanzo, ma non aveva ancora affrontato il vero Problema (si noti la maiuscola): la storia con Mia, relazione sessuale / incontro di boxe avvenuta con la ragazza ancora minorenne, era venuta alla luce, ferendo Karen in maniera probabilmente irreparabile e mandando Hank nelle rogne con la giustizia. E buona parte di questa stagione racconta proprio del rischio, per Moody, di finire dietro le sbarre, condizione da lui particolarmente mal vista, perché significherebbe smettere di “dare”, per cominciare a “prendere”. E ci siamo capiti.
Senza addentrarci nei dettagli della trama (o la sapete, o non state leggendo questo post), vale la pena fare una considerazione sull’episodio conclusivo. Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, la storia non culmina con la sentenza. Sarebbe stato lecito aspettarsi un po’ di presa in giro dell’istituzione giudiziaria, in un crescendo di suspense che ci portasse a scoprire solo all’ultimo (o addirittura a non sapere) quale sarebbe stato il destino del protagonista. La presa in giro c’è – specie nell’interrogatorio di Charlie, uno dei più spassosi e piacevolmente volgarotti che ricordi dai tempi di Boston Legal – ma la tensione viene pazialmente spezzata già nel penultimo episodio, dove viene sancita la colpevolezza. Rimaniamo in trepidante attesa della condanna, che però arriva già pochi minuti dopo l’inizio del finale, quando veniamo a sapere che Hank non andrà in galera, rimanendo semplicemente per tre anni in libertà vigilata.
La leggerezza della pena non deve far pensare a una banale conclusione a tarallucci e vino. La verità è che la vicenda processuale era più che altro un pretesto per costringere Hank a fare i conti col passato, conti che non riguardano solo la sua interiorità, ma un sistema di regole etiche e morali esterne che, prima o poi, dovevano pur presentargli il conto. Detto conto non pare salatissimo, e sembra che Hank possa continuare a fare il mancato ginecologo che abbiamo imparato ad apprezzare.
In realtà, l’apparente happy ending (meglio la libertà della galera!) nasconde più di una insidia: ciò che Moody temeva più di tutto era l’allontanamento forzato da Karen e Becca, che però, di fatto, avviene comunque: le due lasciano infatti la città in compagnia di Ben e della figlia, allontanandosi su un camper in cerca di un’estate di avventura e serenità – pur non riuscendo affatto a dimenticare Hank, come si vede nella scena della pompa di benzina, quando si accorgono con rammarico di aver confuso un qualunque tizio con Porsche e occhiali da sole con il loro maschio preferito e più problematico.
In secondo luogo, i minuti finali lasciano un gusto straordinariamente agrodolce: l’acclamato scrittore viene condotto con tutti gli onori sul set del film tratto dal suo libro, un luogo pieno di simpatiche canaglie pronte a impegnarsi a fondo per dar vita alla sua visione creativa (tra parentesi, Rob Lowe nei panni di Eddie Nero ha ulteriormente radicato in me il desiderio di non vederlo mai più fare il senatore, o il presidente, o il bidello, qualunque ruolo istituzionale). Tutto bello, tutto bene, se non fosse che Hank finisce col passeggiare dentro una ricostruzione di casa sua, tanto fedele quanto finta, ed è costretto ad avere a che fare con due attrici che impersonano le sue due donne preferite, ma che mai e poi mai potranno sostituirle degnamente.
La meravigliosa inquadratura in cui Hank sembra sul punto di sfondare con l’auto un “finto fondale con tramonto”, salvo poi ritrovarsi effettivamente in una classica superstrada arrossata dal crepuscolo, sembra proprio dirci che Moody ha riguadagnato la libertà, ma senza Karen e Becca sarà comunque costretto a vivere in un mondo fittizio, dove la perfetta ma banale conclusione è una corsa verso il sole calante, come in un vecchio western. In sottofondo, le note di You Can’t Always Get What You Want non fanno altro che aggiungere un ulteriore nota nostalgica a uno scenario apparentemente felice, ma inevitabilmente incompleto.
Questo, ovviamente, fino alla prossima stagione.
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PS Concentrarsi sul protagonista non significa dimenticare che vogliamo vedere come finisce la storia di Charlie e Marcy, dopo la pubblica rivelazione che i due aspettano un bambino del tutto imprevisto. Un piccolo, glabro e sudatticcio Runkle che sicuramente porterà ulteriore scompiglio nella testa pelata del brillante agente letterario, che mai come in questa stagione, col suo obiettivo delle “100 donne”, ha dato il meglio di sé in fatto di follia amatoria e irresistibile simpatia vietata ai minori.