Friends vs The Big Bang Theory – La sfida delle sitcom di Diego Castelli
Ecco perché Sheldon è ancora un gradino sotto Rachel
Nelle ultime settimane ha cominciato a diffondersi una tesi interessante, che fa proseliti tra gli addetti ai lavori e i fan entusiasti: The Big Bang Theory sarebbe l’erede del mai troppo celebrato Friends.
Siccome sono anch’io un addetto ai lavori (oh yeah!), dirò la mia. E sarò diretto.
TBBT non è al livello di Friends. Almeno, non ancora.
E questo cercando di rimanere in un’analisi che attenga il più possibile al prodotto in sè, senza andare a parlare di ascolti numerici o altri elementi esterni (come la concorrenza più o meno forte degli altri show, il diverso peso della comunità di internet a dieci anni di distanza, ecc).
Un argomento del genere è ovviamente scivoloso, come i confronti tra calciatori di epoche diverse. Si rischia di sconfinare nella totale soggettività che, per quanto legittima, forse serve a poco. Evito quindi di buttarmi in una discussione su “chi fa più ridere”, perché non ne usciremmo. Friends è la mia serie preferita, ma sapete benissmo quanto io straveda per Sheldon & Co.
Detto che probabilmente TBBT è più originale dal punto di vista strettamente narrativo-dialogico (Chuck Lorre ha portato alla ribalta una figura – quella del nerd – che finora non aveva mai avuto un’attenzione televisiva così forte, e che ha saputo trovare temi nuovi su cui lavorare, dalla scienza ai videogiochi, passando per i fumetti), perché sarebbe ancora inferiore a Friends?
Dopo attenta introspezione (senza esagerare, ché si diventa ciechi), ho trovato un paio di elementi strettamente collegati tra loro, che credo rappresentino la base razionale di questo sentimento istintivo.
Il primo è la componente romantica. In Friends, l’amore è stato un ingrediente fondamentale dell’intreccio, ben più di quanto normalmente si ritenga. Chi oggi pensa a Friends ricorda certamente le matte risate, ma soprattutto l’emozione e lo struggimento provato nei momenti salienti delle varie storie sentimentali. Il fatto che per molti anni l’amore telefilmico per eccellenza (quello più citato negli altri show, più coinvolgente per il pubblico, insomma l’Amore) fosse quello tra Ross e Rachel, protagonisti di una sitcom e non di un drama, la dice lunga sulla capacità di questa serie di allargarsi oltre i limiti del proprio formato, per diventare fenomeno di costume a tutto tondo. I buffi protagonisti di un telefilm comico erano contemporaneamente icone di un romanticismo “serio”, credibile e coinvolgente. Non erano solo un gruppo di amici, erano soprattutto “nostri” amici, e il nostro cuore batteva con il loro.
Strettamente legata alla componente romantica è quella temporale. Più che le vicissitudini lavorative e familiari, l’amore ha scandito in modo percepibile lo scorrere del tempo. Al decimo e ultimo anno di Friends, noi spettatori sentivamo quasi fisicamente il (piacevolissimo) peso di un decennio di avvenimenti, proprio grazie alla forza romantica della storia (non certo perché Monica aveva cambiato lavoro, o perché il figlio di Ross era diventato grande). E la creazione di questo “peso”, di questa consapevolezza di essere cresciuti e cambiati insieme ai personaggi che vediamo sullo schermo, è una delle conquiste più importanti e naturali a cui possa aspirare una serie tv (meccanismo tipico di tanti prodotti con protagonisti “giovani”, come Beverly Hills 90210 o Dawson’s Creek).
Inutile dire che, in TBBT, queste due componenti sono al momento poco sfruttate. Leonard e Penny non sono Ross e Rachel, vuoi per le modalità narrative, vuoi per una minore possibilità di immedesimazione nei protagonisti (tutti rivedevano se stessi, o una parte della propria vita, in Ross e Rachel, mentre l’immedesimazione con Leonard rimane ben più difficoltosa…). Non aiuta nemmeno il fatto di avere un solo personaggio femminile fisso, cosa che rende la serie inevitabilmente sbilanciata. E qui si potrebbe anche calcare la mano, sottolineando che, al momento, TBBT è del tutto Sheldon-centrica: sono pochissimi gli episodi in cui il dottor Cooper non rappresenti il centro gravitazionale del racconto, e in quei pochi, comunque, si tende ad aspettare con ansia il momento in cui Sheldon tirerà fuori una delle sue nerdate d’antologia. In Friends, la sostanziale parità dei sei protagonisti permetteva un’articolazione molto più elastica (e per questo duratura) di trame e sottotrame.
La mancanza, o meglio la leggerezza, dell’elemento romantico ha come conseguenza una sorta di effetto di cristallizzazione. Dopo quattro anni di TBBT, il tempo ci sembra ancora sostanzialmente fermo. In un punto divertente, sì, spesso geniale, ci mancherebbe, ma pur sempre fermo. Il carattere dei personaggi è quello, e le loro dinamiche sono rimaste quasi immutate. La piacevolezza della visione è indubbia, ma allo stesso tempo manca un po’ di passione.
Troppo cervello e poca pancia, mi verrebbe da dire.
Aggiungo inoltre che, malgrado TBBT sia riuscita a raggiungere un pubblico sorprendentemente vasto, rimarrà comunque meno universale di Friends. Tutti sappiamo cosa sono gli “amici”, mentre la “Teoria del Big Bang” è inevitabilmente più settoriale.
Questo, almeno, è ciò che si è visto finora. Va anche detto che, proprio nelle ultime puntate, è stato sperimentato qualche pregevole passo verso una maggiore complessità. Senza spoilerare, si sta tentando di dare qualche sfumatura maggiormente “umana” a Sheldon, e allo stesso tempo si sta lasciando un po’ di spazio alle componenti femminili del cast (proprio l’episodio di settimana scorsa, “The 21-SecondExcitation”, è sembrato andare in questa direzione).
Insomma, ritengo che attualmente TBBT non possa essere considerato alla pari di Friends. Ma questo non significa che non gli riconosca una certa dose di potenzialità ancora inespresse (che magari, sia chiaro, troveranno degno sfogo in direzioni imprevedibili, che nulla c’entrano con sbaciucchiamenti ed effusioni).
Tutto dipenderà dalla voglia degli autori e del network di infondere un’altra dose di coraggio nel loro già splendido lavoro, spingendo i limiti della serie verso territori inesplorati e rischiosi, che potrebbero rappresentare la sua fine oppure, all’opposto, la sua definitiva consacrazione come mito televisivo di questa generazione.