Serie che (non) durano di Diego Castelli
Ecco come alle volte ci si dà la zappa sui piedi
Qualunque autore di serie tv spera che le sue creazioni durino trent’anni. Per la gloria, per i premi, ma anche per i soldini e il posto fisso.
Quando non ci si riesce, si dà la colpa alle scelte di cast, al budget, al posizionamento in palinesto, al lavoro di questo o quello sceneggiatore. Tutto verissimo, ma si dimentica che a volte i telefilm partono zoppi, menomati alla nascita da un concept che sembra avere il fiato corto.
Seguire le vicende di poliziotti e medici garantisce un numero virtualmente infinito di episodi (delitti e malattie ci saranno sempre). Ci sono però altri casi in cui la base stessa della serie è molto più fragile, con conseguenze prevedibili (e infelici).
Farò degli esempi.
Prendiamo Ugly Betty. Sfigata cronica diventa semi-stagista in una rivista di moda e si fa strada.
Bene. Bello. Premi.
Però pensiamoci bene. Per quanto tempo questa tizia può rimanere sfigata? E come è possibile che rimanga sfigata e deliziosamente incapace, senza essere licenziata?
La risposta è: non può. Betty diventa sempre più amata e indispensabile all’interno dell’ufficio. E già stiamo tradendo l’idea di base. In più, il fatto che non possa cambiare il suo aspetto è semplicemente ridicolo. Non è che deve per forza rifarsi il naso, ma è assurdo che dopo una, due, tre stagioni, nessuno le regali un maglione decente, o due sopracciglia meno orripilanti. Ma soprattutto, quattro anni di fila di apparecchio per i denti suggeriscono problemi ortodontici piuttosto gravi, che mal si adattano a una comedy.
Risultato: un primo anno di isteria collettiva per la racchia di successo, poi non ce la siamo più cagata finché non l’hanno mandata in pre-pensionamento.
Stesso discorso per The Ex List, ve lo ricordate? Tizia caruccia apprende da chiromante che il suo principe azzurro si nasconde tra i suoi ex. Più la serie va avanti, più ex devono spuntare, più la protagonista appare come una ninfomane dalla gamba sempre aperta. La cosa, evidentemente, non è edificante…
Il recentissimo Better With You. Serie simpatica, che sta andando piuttosto bene, tutti tranquilli. Ma una delle coppie protagoniste fa ridere perché è nuova, fresca, alle prime armi, rispetto alle altre due, navigate e un po’ “stanche”. Ma fra uno, due o tre anni? Le differenze tra “giovani” e “vecchi” saranno sempre meno evidenti. E quindi che si fa? Bella domanda…
Il meraviglioso Prison Break. Prima stagione d’antologia. Ma poi sti poveretti mica potevano scappare per dieci anni. E Michael non poteva certo aver previsto sviluppi per due decadi. Risultato: i mitici tatuaggi cancellati alla quarta stagione (e nascosti nella terza da una parenne maglietta nonostante i mille gradi), così come la serie, che proprio non aveva più nulla da dire.
Ci sono poi due macrogeneri che sembrano assai vulnerabili: tumorati da una parte, adolescenti dall’altra.
I tumorati sono quei personaggi che iniziano la serie con malattie terminali. Come in The Big C o Breaking Bad. Telefilm magari bellissimi, ma che devono affrontare in fretta un problema importante: lo facciamo morire o no, sto protagonista? E se sopravvive, come sviluppiamo la storia senza tradire le nostre origini? E se le tradiamo, come riusciremo a non far scappare il pubblico?
Questioni simili per gli adolescenti. In teoria, qualunque serie con i teen ager è destinata a finire quando i protagonisti passano i 20-21 anni. Poi in realtà le scappatoie si trovano, e a volte si dà semplicemente il permesso di invecchiare: vedi Beverly Hills 90210, One Tree Hill, lo stesso Dawsons’s Creek. Ma le cose si complicano quando l’ambientazione è dichiaratamente e fondamentalmente liceale. Cosa faranno quelli di Glee quando la scuola superiore sarà finita? Faranno Glee University? Formeranno il nuovo coro della parrocchia? Va anche detto che non capisco come anche uno solo dei protagonisti possa riuscire a diplomarsi…
Ovviamente, il ragionamento non impedisce di creare ottimi prodotti con già impressa la data di scadenza, né toglie la possibilità di dire semplicemente “intanto vado avanti, poi si vedrà”.
Ci sono vari telefilm di successo che, nonostante il succitato fiato corto iniziale, sono riusciti a trovare una chiave per rimanere vivi. Penso a Scrubs, che sembrava legato all’inesperienza professionale dei protagonisti, ma che poi ha retto per nove anni sulla feconda verve comico-filosofica di Bill Lawrence. O anche, come si diceva giorni fa, a Smallville, che è partito con la giovinezza di Superman ma è riuscito a svilupparsi per altre vie senza perdere troppi ascolti.
Ad ogni modo, miei piccoli adepti, se qualcuno di voi pensa di proporre un concept per una serie, è bene che ricordi di porsi la fatidica domanda: la mia storia e i miei personaggi hanno la possibilità di andare avanti per lungo tempo? E se no, sarà un problema? Cosa farò per rimediare?
Questo, ovviamente, se vi rivolgete all’America. Se invece cercate di sfondare nella fiction italiana, assicuratevi solo che la vostra serie sia inguardabile: ve la produrranno senza battere ciglio, e farete anche successo.