Millennium – Questo è ciò che siamo di Manfredi Lamartina
Un tributo (senza spoiler) a Millennium, la sfortunata serie di Chris Carter con Lance Henriksen
Lance Henriksen quando gira la puntata pilota della serie tv Millennium ha 56 anni, una faccia erosa dalle rughe e due borse grandi così ancorate allo sguardo spento. Non è un caso che il suo personaggio, Frank Black, sia un disadattato della televisione. Troppo in là con gli anni per piacere alle ragazzine. E troppo depresso per chi la giovinezza l’ha salutata da un pezzo. Il risultato è che Frank esce male dal confronto con i colleghi degli anni Novanta. Non è affascinante come Fox Mulder, non è cult come Dale Cooper e non è nemmeno simpatico come Colombo. Va da sè che oggi se la vedrebbe ancora peggio. Perché Frank non è un uomo ripugnante di quelli che piacciono a HBO. È solo una persona perbene che vede la sua vita andare lentamente in mille pezzi.
Millennium parte nel ‘96 e nelle intenzioni del creatore Chris Carter deve rappresentare l’opposto di X-Files. I telespettatori passano troppo tempo a guardare il cielo con Mulder e Scully, alla ricerca di alieni che poi chissà se esistono davvero. Il rischio è di perdere di vista il mondo davanti, la vita vera, i cattivi reali. Il compito di Millennium è dunque quello di tornare sul pianeta terra occupandosi di serial killer, sociopatici, pervertiti, fanatici millenaristi. Già, perché l’ondata di follia omicida scandirebbe l’avvicinarsi del Duemila. Con tutto quello che ne consegue.
Frank Black è un ex agente dell’Fbi che collabora con un gruppo di esperti chiamato Millennium. La peculiarità del personaggio è di “vedere” il crimine attraverso gli occhi dell’assassino, il che ha generato un equivoco mai chiarito. Tutti scambiano questa caratteristica per una roba da sensitivi. Secondo Henriksen non sarebbe così. Ma forse non ci ha capito nulla nemmeno lui. In ogni caso poco importa. Perché con il passare delle puntate questa abilità diventa sempre meno efficace nella risoluzione dei casi.
Da un punto di vista narrativo Millennium dura tre stagioni. La prima nasce sotto lo stretto controllo di Carter. Episodi in gran parte autoconclusivi con qualche saltuario richiamo a una trama più vasta. Frank si trasferisce a Seattle con la famiglia per sfuggire a un maniaco che minaccia la moglie. Tentativo vano, si scopre subito, ma un buon pretesto per dare inizio a una riflessione sul male, sugli affetti e sulla vita umana. Nella seconda stagione tutto cambia. Carter lascia Millennium (già agonizzante nei palinsesti) nelle mani di Glen Morgan e James Wong (quelli di Final Destination). Il duo stravolge lo schema fin qui adottato: adesso ci sono più cospirazioni, più continuità narrativa, più elementi sovrannaturali. E anche un pizzico di umorismo surreale. Di fatto, una stagione odiata da tutti: pubblico, critica, cast, produzione. È un giudizio ingeneroso: in realtà è quella che definisce meglio il cosiddetto gruppo Millennium (fino a quel momento un’entità astratta) e che più delle altre colpisce duro il protagonista. Ma tant’è: per il terzo atto vengono esautorati Morgan e Wong, che in seguito rifiuteranno persino di apparire nel “making of” presente nel dvd. Il cambio porta a un misto tra il realismo della prima serie e il complottismo della seconda, con un Frank sempre più stanco e invecchiato.
Ci sarebbero mille altre cose da scrivere. La sigla di apertura di Mark Snow, per esempio, pura angoscia distillata in poche note (c’è anche un frammento visivo da un vecchio clip dei Bush, Everything Zen). Altro elemento chiave è la cupissima fotografia, perfetta per rappresentare lo spirito nero del telefilm. E come non citare poi la beffa del maxi spoiler di Italia 1, che ha trasmesso l’epilogo di Millennium (contenuto in un episodio di X-Files) quando ancora da noi la serie non era conclusa.
Non sempre tutto è filato liscio. Ma in generale la costruzione delle storie e dei personaggi è stata davvero buona. Menzione particolare per la diabolica Lucy Butler interpretata da Sarah-Jane Redmond e per il Peter Watts di Terry O’Quinn, colui che poi diventerà il superstite John Locke di Lost.
Dal canto suo, Lance Henriksen ha fatto gara a sé. Dimostrando di essere uno dei più grandi attori di sempre.